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A una amica

 

 

Scrivere è un mestiere per solitari. Ti prosciuga.

In un certo senso, lo scrittore non ha una vita propria. Anche quando lo hai di fronte non c’è veramente.

 

Trilogia di New York: Fantasmi

Paul Auster

 

 

Era la tua scrittura, distaccata e un po’ maldestra, a scivolare via nella notte. Avevo scorto le tue parole sparse su quei fogli bianchi abbandonati sul tavolo, inconsapevoli tracce del tuo passaggio. Era il pallido riflesso della pioggia, che intravedevo sui vetri, a farmi reclamare la tua assenza? Oppure il suono di quella partitura musicale, così dolce ed effimera?

Non so.

Certo è che le mie narici conservavano ancora l’odore del tuo corpo. Dov’eri? Ti eri alzata all’improvviso dal letto, sollevandoti dalle lenzuola come una Venere dalle acque. Osservavo compiaciuto i tuoi movimenti riflessi nello specchio, mentre tu lentamente ti pettinavi.

Chiudevo gli occhi per un istante, ed il tuo corpo nudo, sembrava rincorrersi nel labirinto della mia mente.

Forse la tua assenza scompariva nelle stanze che avevano visto la tua immagine riflettersi nei suoi pacati gesti quotidiani, simili a minute movenze di una misteriosa e indecifrabile danza.

Eri tu, lo so bene, ad ispirare i segni di quelle tele appese alle pareti. Tuo era il colore, quel pallido riflesso delle ombre nascoste del tuo corpo.

Tua era la luce, accompagnata dal suono dolce della tua voce, infinite note di quell’invisibile spartito che modulavi con misurata sapienza. E allora il segreto calore di quella casa era proprio lì, nascosto tra il tuo sorriso e il riflesso del paesaggio nei tuoi occhi.

Poi, lentamente, tu ti alzavi e uscivi, lasciando dietro di te il buio ad occupare quello spazio vuoto. Allora, tra colori e pennelli, terminava quell’ansia di solitudine che solamente la tua assenza era capace di darmi.

 

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