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Indugi, ma poi la apri, ed è come una cornice con coperchio, quel cofano metallico di olii e bulloni.
Già, c'è l'astina, no non è millimetrata. Ha un punto in alto e in basso, un po' come le maree. Dicono che dovrebbe essere a metà la giusta misura, oppure non superare il massimo. Dicono. La estrai come si estrae un pugnale o uno spadino, ma in questo XXI secolo nessuno si sfida più a duello.
La lacrima d'olio, se non fai attenzione scivola verso il basso, allora la tieni orizzontale e la rigiri come si rigira uno spiedino. Sembra a posto.
L'automobile vuole il suo contributo di olio, carburante e acqua. La devi curare come si cura un corpo. Un corpo bizzarro, comandato da una centralina, un computer parente povero di quelli ospitati sui moduli spaziali. Ti segue e segnala ogni imperfezione lungo la corsia del tempo. Una bolla d'acqua nella benzina e subito lampeggia la spia del quadro sinottico.
L'informatica oggi ti è entrata anche nei pantaloni. C'è quel codice a barre dimenticato tra la tasca posteriore e il giro vita. Magari la commessa doveva correre con urgenza in bagno. Chissà ? L'antitaccheggio quel giorno era in pausa alimentazione. Un buio in tutto il centro commerciale. Scale mobili immobili. Gruppi elettrogeni che si accendevano e si spegnevano, un blackout a singhiozzo.
Allora richiudi il cofano, e accendi il motore. Un borbottio di esplosioni multiple, modulate nella camera a scoppio, con pistoni che danzano una danza sempre uguale, è la risposta.
Esci da quelle strisce bianche tracciate sull'asfalto e imbocchi il grande corso.
Subito la campagna ti viene incontro, ti attornia, ti avvolge. Due spanne più in basso, e dal finestrino l'odore del fieno ti punge le narici. Ci sono anche le montagne che occhieggiano al fondo della valle. Per un istante immagini Annibale che con il suo corteo di elefanti punta verso Roma. Campi, boschi e acquitrini, ecco il fotofinish di quella processione di allora.
Un cascinale in distanza è la fortezza Bastiani in questo deserto agreste. Ma l'immagine subito si spegne, ti vengono incontro nell'ordine: un motel, capannoni industriali, piccole aziende, un demolitore e un venditore di arance, poi inizia la città, con l'affaccio al suo centro commerciale, il bar d'angolo e la pizzeria.
Impegni la rotonda e torni indietro. Odore di scappamento e di gomma bruciata.
Alla prima piazzola ti fermi e osservi la campagna. Guardi le sfumature di verde confuse tra i gialli dei rampicanti rinsecchiti lungo le siepi e le bordure dei fossi. Il distanza, un gregge di pecore bruca l'erba. Sembra un diorama di un presepe. C'è pure un refolo d'aria.
All'orizzonte, come un dipinto sfumato nel cielo, troneggia la piramide del Monviso.
È algida l'immagine, sarà per via di quell'azzurro ghiaccio o per quel manto di neve che si squaglia lentamente lasciando nuda la roccia.
Apri la portiera, scendi e respiri per qualche minuto la natura. Quella che in questi mesi ti è mancata.
Riparti, portando con te queste immagini nella tua mente. Nel tuo cuore.
 

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