Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Mer, 25/09/2013 - 15:43
Era successo tutto quella notte. E il mattino lo aveva ritrovato con la bocca impastata di fumo e fiele. La tensione all'osteria le “Tre Nazioni” la si tagliava con il coltello, quella notte.
Il Mario, era uscito fuori stordito dal destino, si potrebbe dire, o dal suo immenso orgoglio.
Erano tutti seduti al solito tavolo, come tutte le sere. Luigi, l'oste, con la moglie Pina, stava rigovernando i bicchieri.
L'allegra compagnia, la solita, aveva festeggiato il ritorno di "Cesco delle fasce" da Genova, in quell'estate del '33. Il transatlantico Rex aveva stabilito il nuovo record di traversata dell’Atlantico, e lui, esperto saldatore, aveva lavorato a lungo su quel gioiello, orgoglio dei cantieri dell'Ansaldo di Sestri Ponente e dell'Italia intera.
Il Cici, aveva taciuto un istante, aveva guardato il Mario, come quando si prendono le misure di un cavallo da tiro poi, aveva sollevato la visiera del cappello, si era rigirato il mezzo sigaro tra le labbra, lo aveva acceso sbuffando una nube di fumo nell'aria, sputato a terra e fatto cenno di sì con la testa, fissando a lungo il Mario negli occhi.
Luigi aveva preparato un tavolo nella stanza del retrobottega, tra casse di birra e fiaschi di vino. E gli avventori avevano fatto circolo con le sedie attorno ai due.
- Luigi, porta un mazzo nuovo, e un caffè forte. - le parole del Cici sembravano un ordine. Poi aveva aggiunto. - Cominciamo con la posta da 25 lire, poi si va oltre...
E la partita aveva preso il via in un silenzio totale.
Il Mario vinceva. Continuava a vincere, sembrava che la fortuna fosse dalla sua. E il ferro occorre batterlo finché è caldo. Almeno così recita il proverbio.
Alle due di notte, l'oste aveva chiuso la serranda, ed erano tutti riuniti lì, a guardare sotto quella pozza di luce quei due che si sfidavano. La stanza sapeva di fumo e odore di uomini.
- Mi ci gioco il terreno e la vigna sul colle. - aveva detto il Cici – contro tutta la posta e la tua cascina.
- D'accordo. Questa è l'ultima mano. O la va o la spacca.
C'è un istante nella vita di un uomo in cui la Fortuna è puttana. E' come una piccola nube passeggera che oscura la Luna. Un attimo di buio. Ma in quell'attimo di oscurità tutto si capovolge. Tutto succede.
Il Mario aveva perso la partita.
Si era giocato la cascina. Persa in quel carosello di carte, in quello scorrere di ore, tra il fumo di sigarette e silenzi.
- Firma qua. - gli aveva detto il Cici, serio.
- Hai paura che non onori i miei debiti di gioco?
- Non si sa mai...
- Ho ancora venti giornate di terreno buono a fianco della cascina, spero che vorrai darmi soddisfazione con la rivincita.
- Quando vuoi.
Il Mario si girò, guardò un attimo tutti i presenti, sputò a terra, poi lo videro sparire nella notte.
Il Mario, era uscito fuori stordito dal destino, si potrebbe dire, o dal suo immenso orgoglio.
Erano tutti seduti al solito tavolo, come tutte le sere. Luigi, l'oste, con la moglie Pina, stava rigovernando i bicchieri.
L'allegra compagnia, la solita, aveva festeggiato il ritorno di "Cesco delle fasce" da Genova, in quell'estate del '33. Il transatlantico Rex aveva stabilito il nuovo record di traversata dell’Atlantico, e lui, esperto saldatore, aveva lavorato a lungo su quel gioiello, orgoglio dei cantieri dell'Ansaldo di Sestri Ponente e dell'Italia intera.
Il Mario, aveva iniziato a sfottere il Cici sui suoi attributi maschili. Entrambi cinquantenni, agricoltori, mandavano avanti le loro aziende agricole. Il Mario, bruno, alto, magro come un chiodo, lo aveano soprannominato Spigolo in paese. Era strafottente e pungente come non poco, al contrario del carattere bonario e pacioso del Cici, un omaccione corpulento, calvo e con l'immancabile cappello in testa che toglieva solo per dormire, buono, ma che all'occorrenza sapeva farsi rispettare.
Dopo numerose bottiglie l'atmosfera si era fatta allegra. Poi dallo scherzare la discussione si era animata. Tira e molla, la cosa si era fatta seria.
- Scommettiamo che ce l'ho più lungo di te?- aveva provocato, rosso in viso il Mario, rivolgendosi al Cici.
- Figurati... - aveva ribattuto lui.
- Sono pronto a scommettere venticinque lire subito. Ecco qua. - e aveva sbattuto il denaro sul tavolo.
- Smettila di dire panzane... ma se quando vai al cesso, per trovarlo, ti occorre la lente che usa il farmacista quando cerca i pidocchi tra i capelli di tua sorella...
E giù parolacce, spintoni e schiaffi. Riscaldati dal vino e dagli insulti, i primi pugni erano volati.
- Fermi tutti!- aveva urlato l'oste, impugnando un bastone e dividendo i due contendenti. - Se volete fare a botte, andate sulla piazza, che gli specchi e i vetri costano!-
- Già... - aveva ribadito il farmacista, sbattendo le carte sul tavolo, piccato dall'essere chiamato in causa da simili inezie. - ci sarebbe un altro modo per risolvere la questione.
- E quale? - avevano detto contemporaneamente i due, con i pugni fermi a mezz'aria, simili a un gruppo statuario.
- Una bella scommessa, con tanto di scritta nero su bianco.
- Già, ma chi prendiamo per la giuria? - aveva detto il Carlo, geometra, suo compagno di tavolo, interrompendo anche lui la partita a carte che stavano giocando.
- La signora Pina, la moglie dell'oste. - aveva detto il Mario, tutto di un fiato. Mentre lei, da dietro il banco, sorrideva e il marito si piantava davanti al Mario con il bastone in mano.
- Naturalmente con il marito!- aveva subito aggiunto.
- Carta e penna! - aveva urlato il Cici, lasciando il bavero del Mario.
Nella sala, gli avventori ai vari tavoli avevano interrotto le partite e la conversazione. Guardavano compiaciuti lo spettacolo inconsueto che si stava animando sotto i loro occhi, sghignazzando, finalmente liberi dal ripetitivo grigiore della serata.
- Ci penso io. - aveva detto il notaio, posando la sua stecca sul biliardo, sotto lo sguardo interdetto del Giorgio che era rimasto lì come un allocco.
- Stendo una prima bozza poi passate in studio per la regolarizzazione dell'atto ufficiale.
Dopo numerose bottiglie l'atmosfera si era fatta allegra. Poi dallo scherzare la discussione si era animata. Tira e molla, la cosa si era fatta seria.
- Scommettiamo che ce l'ho più lungo di te?- aveva provocato, rosso in viso il Mario, rivolgendosi al Cici.
- Figurati... - aveva ribattuto lui.
- Sono pronto a scommettere venticinque lire subito. Ecco qua. - e aveva sbattuto il denaro sul tavolo.
- Smettila di dire panzane... ma se quando vai al cesso, per trovarlo, ti occorre la lente che usa il farmacista quando cerca i pidocchi tra i capelli di tua sorella...
E giù parolacce, spintoni e schiaffi. Riscaldati dal vino e dagli insulti, i primi pugni erano volati.
- Fermi tutti!- aveva urlato l'oste, impugnando un bastone e dividendo i due contendenti. - Se volete fare a botte, andate sulla piazza, che gli specchi e i vetri costano!-
- Già... - aveva ribadito il farmacista, sbattendo le carte sul tavolo, piccato dall'essere chiamato in causa da simili inezie. - ci sarebbe un altro modo per risolvere la questione.
- E quale? - avevano detto contemporaneamente i due, con i pugni fermi a mezz'aria, simili a un gruppo statuario.
- Una bella scommessa, con tanto di scritta nero su bianco.
- Già, ma chi prendiamo per la giuria? - aveva detto il Carlo, geometra, suo compagno di tavolo, interrompendo anche lui la partita a carte che stavano giocando.
- La signora Pina, la moglie dell'oste. - aveva detto il Mario, tutto di un fiato. Mentre lei, da dietro il banco, sorrideva e il marito si piantava davanti al Mario con il bastone in mano.
- Naturalmente con il marito!- aveva subito aggiunto.
- Carta e penna! - aveva urlato il Cici, lasciando il bavero del Mario.
Nella sala, gli avventori ai vari tavoli avevano interrotto le partite e la conversazione. Guardavano compiaciuti lo spettacolo inconsueto che si stava animando sotto i loro occhi, sghignazzando, finalmente liberi dal ripetitivo grigiore della serata.
- Ci penso io. - aveva detto il notaio, posando la sua stecca sul biliardo, sotto lo sguardo interdetto del Giorgio che era rimasto lì come un allocco.
- Stendo una prima bozza poi passate in studio per la regolarizzazione dell'atto ufficiale.
Dichiarazione
Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione
Re d'Italia.
L'anno millenovecentotrentatre, anno XIV dell' E. F., addì ... ecc. ecc.
Avanti di me Dott. ecc.ecc. Sono personalmente comparsi i signori:
Mario V., detto Spigolo, possidente terriero, nato a ecc. ecc.
Luigi R., detto Cici, possidente terriero, nato a ecc. ecc.
1° Mario V. dichiara di essere vero e conforme a propria verità che nel giorno, ecc. ecc. nell'osteria le Tre Nazioni, condotta da Luigi P. , sita in ecc. ecc. dopo essere stato provocato da Luigi R. sui suoi attributi maschili, di essere pronto a scommettere di avere il suo membro virile, più grosso e più bello di quello del Luigi R.; e per dare valore alla scommessa depone sul tavolo a lui vicino L 25.
Tutti i presenti hanno sentito della mia scommessa...
Tutti i presenti hanno sentito della mia scommessa...
- Ma è il caso di nascondersi dietro alle gonne del notaio ? hai paura a ragionarla da uomini?- aveva ulteriormente provocato il Mario, fermando il braccio del notaio.
- E come?
- Tra uomini non servono parole o carta straccia. Con queste! - e un mazzo di carte da gioco, sfilato dalla tasca della giacca, si era aperto a ventaglio nella mano del Mario.
- E come?
- Tra uomini non servono parole o carta straccia. Con queste! - e un mazzo di carte da gioco, sfilato dalla tasca della giacca, si era aperto a ventaglio nella mano del Mario.
Il Cici, aveva taciuto un istante, aveva guardato il Mario, come quando si prendono le misure di un cavallo da tiro poi, aveva sollevato la visiera del cappello, si era rigirato il mezzo sigaro tra le labbra, lo aveva acceso sbuffando una nube di fumo nell'aria, sputato a terra e fatto cenno di sì con la testa, fissando a lungo il Mario negli occhi.
Luigi aveva preparato un tavolo nella stanza del retrobottega, tra casse di birra e fiaschi di vino. E gli avventori avevano fatto circolo con le sedie attorno ai due.
- Luigi, porta un mazzo nuovo, e un caffè forte. - le parole del Cici sembravano un ordine. Poi aveva aggiunto. - Cominciamo con la posta da 25 lire, poi si va oltre...
E la partita aveva preso il via in un silenzio totale.
Il Mario vinceva. Continuava a vincere, sembrava che la fortuna fosse dalla sua. E il ferro occorre batterlo finché è caldo. Almeno così recita il proverbio.
Alle due di notte, l'oste aveva chiuso la serranda, ed erano tutti riuniti lì, a guardare sotto quella pozza di luce quei due che si sfidavano. La stanza sapeva di fumo e odore di uomini.
- Mi ci gioco il terreno e la vigna sul colle. - aveva detto il Cici – contro tutta la posta e la tua cascina.
- D'accordo. Questa è l'ultima mano. O la va o la spacca.
C'è un istante nella vita di un uomo in cui la Fortuna è puttana. E' come una piccola nube passeggera che oscura la Luna. Un attimo di buio. Ma in quell'attimo di oscurità tutto si capovolge. Tutto succede.
Il Mario aveva perso la partita.
Si era giocato la cascina. Persa in quel carosello di carte, in quello scorrere di ore, tra il fumo di sigarette e silenzi.
- Firma qua. - gli aveva detto il Cici, serio.
- Hai paura che non onori i miei debiti di gioco?
- Non si sa mai...
- Ho ancora venti giornate di terreno buono a fianco della cascina, spero che vorrai darmi soddisfazione con la rivincita.
- Quando vuoi.
Il Mario si girò, guardò un attimo tutti i presenti, sputò a terra, poi lo videro sparire nella notte.
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