Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Mer, 11/01/2017 - 19:32
La “Ragazza che legge il giornale”, quel dipinto l'avevo visto per la prima volta in centro a Torino.
All'inizio non pensavo che quel soggetto e l'insieme della composizione mi avrebbe sollevato delle emozioni così forti. E poi, perché il mio pensiero ruotava attorno ai soggetti delle opere di Balthus? Qui c'era una composizione formale molto equilibrata ed elegante. Nulla di discinto. Eppure la mia mente aveva istantaneamente connesso un legame con le opere di quell'artista.
Ero entrato in quella Galleria d'Arte dalle parti di piazza Carlo Felice; c'era una esposizione del pittore Graham Sutherland, e smaniavo di vedere dal vero i suoi lavori. Era la prima volta che mi succedeva. Su quei dipinti cresceva tutto un sottobosco di spine vegetali, radici e alberi intestini.
Ero affascinato e stupito nel medesimo tempo dall'urlo angoscioso che la natura, rielaborata dall'artista, lanciava da quelle tele, da quei disegni.
Mentre attraversavo il lucido parquet di quelle sale, immerso in un silenzio monastico che aumentava la percezione del ronzio della mia circolazione sanguigna, assorto nell'osservare quei dipinti, e immerso in una successione d'emozioni che andavano sempre più in crescendo, avevo scorto in uno stanzino laterale, a uso ufficio, appoggiato a terra il dipinto: la “Ragazza che legge il giornale”.
Era una tela dai colori brillanti, dove una donna seduta in poltrona leggeva il giornale. Una gonna verde, l'orecchino e i guanti del medesimo colore, così come il cappellino che indossava, colpivano immediatamente l'osservatore. La tazzina da caffè, posta sul lato destro del dipinto dava equilibrio all'intera composizione.
Incuriosito, mi ero avvicinato. Seduta alla scrivania di quella stanza una signorina stava lavorando ad un computer.
- É in vendita questo quadro? - le avevo chiesto interrompendo il silenzio che regnava in quelle sale.
- No... mi spiace. È una acquisizione di un privato. È stato battuto in asta a Londra e la Galleria ha avuto il mandato per l'acquisto. Ora sto preparando la documentazione e poi lo consegneremo al cliente.
- È bello... l'autore è inglese?
- No. È una donna italiana, una certa C. O.
Continuavo a fissare quella tela che aveva mosso e fatto emergere delle emozioni di cui io stesso non riuscivo a capirne il perché. Forse quel viso ricordava quello di una mia amica d'infanzia. Ma era tutto molto labile e vago nella mia testa.
E così, nello scorrere dei giorni, dei mesi, quel dipinto era uscito dai miei pensieri. Poi, in quell'afoso mese di luglio, dove a Torino l'umidità avvolge la città come un velo, era successo.
Vagavo all'ombra dei portici di via Po, e mi ero improvvisamente ricordato dell'esistenza di una singolare galleria d'arte che racchiudeva al suo interno un piccolo cortile dalle parti dei Giardini Cavour, allora mi ero diretto là. Originariamente doveva essere una officina o una tipografia ma, trasformata in galleria d'arte, aveva perso ogni traccia del suo passato.
Alle pareti opere d'arte contemporanea e sul pavimento piccole installazioni. Anche qui, in un angolo, da uno sgabuzzino era stato ricavato un piccolo ufficio.
A terra, appoggiata a fianco di una installazione - un groviglio di tubicini in rame con piccole e lanceolate foglie di colore bianco, dentro una bacinella di ferro zincato dove un neon azzurro formava la scritta: ” una piuma un passero” - c'era quella tela.
Il gallerista, un ragazzo dal il fisico esile (un cappellino nero in testa e su una camicia a quadrettini un paio di bretelle rosse che reggevano pantaloni a tubo fermi alla caviglia), si era avvicinato.
- É in vendita? - avevo chiesto, indicando il quadro a terra.
- No... mi spiace... quello è di una nostra cliente che deve venire a ritirarlo.
- Ma mi pare di averlo già visto nella galleria di...
- Sì. in effetti... è stata una traslazione su commissione. Sa, la nostra è una piccola galleria... non partecipiamo ad aste internazionali... così ci siamo appoggiati a loro.
- Come dicevo, è di una nostra cliente e... - qui il ragazzo si era avvicinato e mi aveva sussurrato con fare complice.
- É per C. R. ...
- Noo... - avevo esclamato stupito: - Quell'artista torinese con la treccia?
- Sì. È da molto che ci tiene a quest'opera, ma non so come ne sia venuta a conoscenza. Le è piaciuto questo dipinto perché le ricorda una sua amica d'infanzia.
- Ma non si sa nulla dell'autore?
- È una artista che abita nella prima cintura di Torino. È molto riservata. Sappiamo che espone esclusivamente a New York. E questo dipinto è stato acquistato là e poi è finito a Londra.
É stato battuto in asta insieme al resto del patrimonio di un banchiere che ha lasciato tutta la sua eredità ad una fondazione benefica.
Terminata la discussione, avevo ancora vagato per il locale osservando le opere esposte. Mi ero soffermato su quelle camere d'aria stirate e fissate su un supporto. Sembravano delle interiora appese in una macelleria. Su un pannello, una sequenza di occhi per bambola mi fissavano inquietanti. Chiodi, spilli e lamette esposte, mi avevano convinto a cambiare panorama.
Ero uscito da quella Galleria con l'immagine della “Ragazza che legge il giornale” fissa nella mente. Mi ricordava il sorriso enigmatico della Monna Lisa.
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