Fuori c'è il mare.
Un mare strano, immenso, privo di spiagge, che scorre davanti agli occhi, mentre questo mastodontico condominio di quattordici piani e tremila abitanti avanza e, nel suo scorrere, ne solca le onde.
Una nave da crociera e il mare, una bianca palla da bigliardo che scivola su un tappeto azzurro.
L'arredo e l'ambientazione è quella di una Las Vegas dei mari. Superfici lucide, colorate, caramellate, che danzano sulla retina. Rotolo al suo interno come una pallina da flipper.
È una vibrazione continua, un tripudio di suono e di colore.
Questa cittadella galleggiante solca una rotta marittima che è tracciata solamente sulla carta, attraversa uno spazio che l'occhio non coglie.
Attorno c'è il mare, a sud, a est a ovest o a nord.
Acqua azzurra che si muove, quasi a cullare nel suo abbraccio l'eterno del cielo.
Mare e cielo, sono le costanti di quell'unica dimensione di spazio e di colore, calata nel blu.
All'interno, in un arredo tematico sul Mito, animatori, musicisti, e personale di bordo intrattengono questi temporanei inquilini, mentre ascensori trasparenti corrono lungo ascisse che puntano al cielo.
C'è, nel riassunto di tutta questa umanità, una babele di lingue racchiusa nella propria solitudine. Una manciata di stati distribuiti sul tappeto dell'Europa e delle Americhe.
Lontani destini che si incrociano su questo contenitore che solca il mare Mediterraneo.
I bar sono numerosi, sparpagliati come granelli di senape; più che punti di aggregazione, diventano il salvagente di questa enorme cittadella galleggiante.
E sì, Mario, è strano incontrarci a cena, qui. Due sconosciuti seduti allo stesso tavolo a chilometri di distanza dalle nostre città. La città di Fenoglio non è poi così lontana da Torino, e qui, in mezzo al mare, gli spazi si azzerano. Sono i frammenti della tua città che ricerchi, un po' spaesato, tra questi corridoi.
É nel ritrovarti a far nulla che le tue mani callose reclamano forte la dimensione del lavoro quotidiano. Mi parli della tua casa, del tuo prato, dell'erba da tagliare per i conigli, della catasta di legna da sistemare, mentre il tempo rallenta la sua corsa. Sei felice perché, ora a cena, un'altra giornata è trascorsa di questa vacanza che nei tuoi settantasei anni di lavoro ti sei regalato (una volta nella vita val la pena di provare, mi dici sorridendo).
Poi mi parli della tua gioventù e di quando con la Lambretta e con gli amici (lambrettisti anche loro) vi incrociavate sulle strade. Duecento lambrette avevano sollevato una nube di polvere da Alba sino in Turchia. Già, viaggiare...
Il mio sguardo si posa sulla tua cravatta (dal grosso nodo) che termina all'altezza dello sterno, lasciando scoperta la pancia. E allora mi tornano in mente i pomeriggi delle domeniche degli anni sessanta, quando i padri dei miei amici, lasciati gli abiti da lavoro, si vestivano a festa. Rivedo la stessa foggia delle loro cravatte e provo un senso di vertigine. Già, perché, vedi Mario, i ricordi sono come zollette di zucchero, disciolte in una tazza di caffè a stemperare l'amaro del giorno.
Il mare, ovunque lo si guardi è presente, come un gatto sornione che vigile sonnecchia, pronto a scattare e ghermire la preda.
Si potrebbero intrecciare storie o leggende qui a bordo. Si potrebbe passare una vita intera senza scendere a terra, ma questa storia è già stata scritta da altri.
Tum... tutum... tum. Clac... claclac...clac...
Lo senti. È un suono debole che avanza sino a saturare le tue orecchie. Un battere di tacchi e di mani che scandiscono il ritmo. È il ballerino di flamenco che cerca la sua dama. A volte un'ombra appare fugace in un incrocio del corridoio. Vedi la presenza di un tacco di uno stivale dietro l'angolo. È un'impressione che subito scompare. Eppure tu ne sei certo di quella presenza.
Ecco, dall'altro capo del corridoio, un suono fa da contrappunto. È un crescendo di nacchere, un rispondere di battito di tacchi e di mani. Lo si sente anche in sala macchine. Poi, all'improvviso, come è iniziato, scompare.
Impressioni, presenze manifeste, parole, fantasmi della scrittura...
C'è, in questo stupendo marasma di attività ludiche, un piccolo locale (oltre la Cappella) che racchiude una bolla di quiete.
La biblioteca vive di una manciata di tavoli e qualche armadio a vetri che mostra il suo esiguo contenuto in varie lingue.
Un'oasi di silenzio, ma chi ha la necessità di silenzio in crociera?
Chi mai è pronto a saccheggiare il rumore?
Meglio raccogliere il sole sulla pelle e osservare lo spazio aperto, l'infinito.
Là, a tribordo o a dritta, un'esile frammento bianco si delinea dall'onda. Un panfilo, un'altra presenza in questo immenso mare.
“O Capitan c'è una barchetta in mezzo al mar “ recita la canzone, un vago ricordo che emerge dal sapore della memoria, subito inseguito da: “Là in mezzo al mar ci stan camin che fumano...” .
Oh passeggero, i pensieri assumono forme bislacche quando invadono la mente. Allora, vai nocchiero, vai. Portami via da questi istanti del passato, da questi attimi del ricordo. Via... via... e che il vento sia con te.
Se socchiudi gli occhi e ti abbandoni alla brezza, percepisci il mare in tutte le sue ere. Le puoi sfogliare come un mazzo di carte. Allora, è là, nel frangere dell'onda, che alto risuona il coro, il richiamo dei guerrieri Greci dal ritorno da Troia.
ITACA... ITACA... ITACA...
Tu non lo sai ancora, ma sei finalmente approdato alla tua isola. E' un suono, una traccia musicale che, come Pollicino, ti guida. In quelle voci riconosci l'eco di un percorso. C'è tutto un sound che evoca uno spazio conosciuto. Allora, ti abbandoni al flusso musicale, ma il ritmo ti prende, sale, si incrocia con i tuoi pensieri, li scuote. Quando senti le note di “Sapore di sale” ti prende un groppo alla gola. Sono le tue estati da ragazzo che bussano alla porta. Ti ritrovi in un istante proiettato in un luogo lontano. Sei in spiaggia, bambino, a giocare tra la battigia e il mare.
Ma è la chitarra di Matteo e la voce di Chiara, il duo “Sound live”, che ti riporta alla tua dimensione di adulto, lontano da quegli anni Sessanta. Con quegli arpeggi che, come le onde del mare, si dilatano e si restringono, mentre la musica scorre via, dimenticando la misura del tempo e dello spazio. È l'immortalità del suono e dell'anima. E il ricordo corre, si nutre del Mito, del suono di quegli anni che si gonfiava sino ad esplodere in quei tre giorni di amore, di pace e di musica: il concerto di Woodstock.
Nocchiero, esistono i sogni? se sì, guidami nel loro porto.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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