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Impressioni di viaggio, Madera

L'isola è un fiore sbocciato dal mare.
Si apre la cortina delle nuvole e dall'oblò ecco che il blu delle onde che si allarga per offrire spazio a questo insieme di materiale magmatico spinto in superficie.
La dolcezza del clima è la seconda impressione, la prima è la luce. È una luce vivida, discreta, impalpabile. Cornice del giorno.
La terza impressione è quella di essere in una serra all'aperto. La vegetazione è rigogliosa ovunque. Le fioriture delle varie specie di piante si alternano in una carosello di colori profumati. La dolcezza dell'ambiente stempera la fretta, frena l'impazienza, collassa il verbo “devo”.
Il ritmo dell'attività giornaliera si dilata, si apre all'accadere.
Il panorama è magnifico. Dal livello del mare si sale, tra un banco di nebbia,  sino a quota 1810 metri d'altezza. Sentieri si diramano in percorsi affrontati da amanti del trekking. Comitive di francesi e tedeschi si disperdono camminando con i bastoncini. Le loro figure rimpiccioliscono. I bastoncini brillano al sole. Sembrano sciatori a cui è stata negata la neve. Tra il verde, una strada asfaltata pare una bretella scura abbandonata verso il tragitto per il mare. L'acqua, abbondante ovunque, scorre lungo le fasce dei rilievi montuosi. Terrazzamenti coltivati lungo un piano inclinato che sale, dove le braccia dell'uomo sono l'unico elemento motore per le coltivazioni.
Le piantagioni di banani sono un insieme di foglie verdeggianti, con i loro frutti che sembrano candelabri rivolti al cielo.
A Funchal, camminando nelle sue stradine interne, raccolte nel centro storico, si ha l'impressione di essere piombati in qualche scorcio di cittadina francese. La luce, l'azzurro del mare e il verde della vegetazione, sono i colori primari dell'isola. La bellezza del luogo è una bellezza dalle molte forme.
Ogni angolo, ogni scorcio manifesta caratteristiche di bellezza. 
Ed è verso la sera del secondo giorno che mi accorgo di pensare che le mie abitudini di vita di città, qui si sono spezzate. È come fare un tuffo in un altro mondo. Mi soffermo al pensiero che se mi fermassi qui, la mia vita cambierebbe radicalmente. Dopo l'overdose di panorami, di gite e picnic sull'isola e nuotate nei periodi caldi, dopo essermi immerso nei miei spazi, nei miei silenzi, alto si forma l'interrogativo: che cosa fare? Una ipotesi si insinua nella mente come una piccola scossa. Coltivare un piccolo orto con giardino. Toccare la terra, dopo aver abbandonato il cemento e il mattone urbano. Quasi un ritorno alla generazione dei bisnonni, alla terra dei vinti. Oppure provare il mare, uscire in barca a pesca. Una nuova identità di un mondo sconosciuto, dove l'elemento fatica è il sudore che accompagna il quotidiano. Abbandono i sogni e i pensieri di una possibilità utopica, che mi riportano alla mia vita, una vita fatta di tecnicismo, di uffici e fabbrica, di pensieri, di letture e di parole, quasi un filtro ad una realtà più immediata, quella di coltivare la terra.
Storno i pensieri e guardo l'orizzonte.
Un'esile linea curva che accompagna lo sguardo, il mare lo culla e la luce fa da cornice al giorno.
 

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