Scritto da © Rinaldo Ambrosia - Lun, 30/06/2014 - 19:46
E poi c'era quel dolce alla crema. Sminuzzato, spezzettato che si scioglieva in bocca. Giusto per rifarsi dell'amaro tuorlo di quei giorni. Amaro dettato dalle emozioni, amaro di quell'assurdo mistero che si stava lentamente delineando nella mia mente.
Tutto passa... anche Richard Gere stava invecchiando, vedevo i segni del tempo depositarsi sul suo viso e lì giocaci a dadi. Io evitavo l'esposizione al sole, gli specchi e gli antiquari e amavo il Dalai Lama.
L'ultima auto di mia proprietà mi stava, dopo quattordici anni di onorato e amorevole servizio, salutando, senza neppure sventolare un fazzoletto. Valle a capire le auto! Eppure aveva accompagnato dei segmenti importanti dei miei giorni, triturato le mie emozioni, trasportato i miei pensieri, annullato la noia dei semafori con il suono della sua radio... pur non essendo cosa viva non era di certo poca cosa, e possedeva, sia pur di metallo, una sua anima.
Avevo ordinato una nuova vettura, io che avrei voluto viaggiare in taxi, arduo sostenitore del detto: “farsi trasportare è molto meglio che guidare”, ma mia moglie, “la coraggiosa”, voleva mantenere la continuità e l'indipendenza del volante, con due automezzi, come sempre avevamo avuto.
E un elicottero non sarebbe stato possibile farlo atterrare nel cortile o sul tetto della casa.
Con un'auto ci puoi fare molte cose, ma devo dire che, a parte leggere il libretto d' istruzioni, e il numero di matricola e guidarla, io non ci facevo altro. Un'auto si guida non si legge.
Comunque, dopo aver ordinato la vettura, il concessionario, si era profuso in scuse per via che la consegna era slittata di circa un mese dalla data prevista, nonostante io avessi chiesto di anticipare. Ma la nostra partita a due non collimava con quella della casa produttrice.
Poi era iniziato quel tarlo... sì, ora tu mi dirai che io sono folle, eppure...
Avevo iniziato a osservare nel traffico cittadino tutte le vetture che circolavano cercando il modello della mia. Nulla! Anche durante un viaggio in terra toscana, osservavo e scrutavo, nello scorrere del traffico, sull'autostrada, nei borghi, nelle città in cerca di una sagoma conosciuta... ma la ricerca era vana. Poi era subentrato quel sogno che aveva sollevato una nube d'inquietudine, trasformandosi in un vero e proprio incubo.
Era notte, vedevo il locale della concessionaria dove avevo acquistato la vettura e un personaggio equivoco che scaricava da un furgone dei depliant patinati, dove la fotografia della mia vettura sembrava emergere dalla pagina in tutto il suo splendore. C'era aggressività e un senso di bellezza scattante, da quelle forme, da quella linea che ordinava, come una sinfonia, curve e pieghi sulla carrozzeria verniciata.
Nel sogno mi avvicinavo alla vettura esposta che sfavillava come una soubrette sotto i riflettori. Notavo subito che aveva cambiato colore, dal bianco perlato che avevo visto il giorno prima, il colore era mutato in un grigio antracite, sentivo anche un forte odore di vernice fresca. Ma i sogni, si sa, sono bizzarri, come un fazzoletto che si tira fuori dal taschino, però mi sembrava che succedessero cose strane in quella concessionaria. Avevo persino visto infilarsi in una porta, dopo avermi fatto un suo sorriso e un cenno di saluto, la divina Marylin o Jeane Mortenson, comunque si voglia chiamarla. E mi aveva detto: "E' triste avere una mente lucida, intelligente e sofferente in un corpo meraviglioso, indovina a che stazione si fermano gli uomini?" La vettura esposta pareva che venisse regolarmente riverniciata, settimana dopo settimana, con i colori che comparivano su quei depliant di quella tipografia clandestina che stampava (oltre a queste cose per finanziarsi) volantini a contenuto anarchico. Mi era parso di vedere scendere dalla vettura anche Majakovskij, ma probabilmente si trattava di un reflusso gastrico dell'ultima poesia che avevo letto.
L'incubo cresceva a dismisura, man mano che i tempi di consegna si allungavano. Nel sogno, i fogli del calendario ruotavano a una velocità folle (Dalì con queste immagini ci andava a nozze). Scorrevano i giorni e i mesi. E' solo un sogno. Ora mi sveglio. Ora mi sveglio. Ripetevo nella mente, dentro quel piccolo frammento di coscienza che ancora la lucidità nel sogno ancora mi consentiva.
Poi mi ero svegliato con un pensiero fisso. Sudato, ero sceso dal letto e avevo cercato un libro nello scaffale. Le pagine de “La metamorfosi” di Kafka scivolavano tra le mie mani. Con una lettura trasversale, saltando le righe, scorrevo le parole in cerca del momento in cui il protagonista si trasforma in scarafaggio. C'era un forte parallelo, tra il libro e il sogno di quella vettura (fantasma) che dovevano consegnarmi. Dopo una profonda riflessione ero giunto ad una decisione. Avevo iniziato ad appostarmi, la sera, fuori da quel concessionario e, armato di cinepresa, nascosto tra un albero e un'auto, filmavo tutto ciò che si muoveva tra quei muri. Ero convinto di essere incappato in una storia più grande di ogni razionale cognizione. Un traffico d'auto alternativo? Un nuovo prototipo da testare? Mi sfuggiva ogni legame con il quotidiano, con il razionale, con il pane al pane, vino al vino, e Coca-Cola a Coca-Cola.
Ma man mano che riprendevo, mi chiedevo come diavolo aveva fatto Andy Warhol, nel '64 a riprendere, per la durata di otto ore, l'Empire State Building di New York, nel filmato “Empire”. Avanti di 'sto passo l'inverno sarebbe presto giunto alle porte. E prima dell'inverno, si sa, c'è l'autunno, e cadono le foglie. E l'eco di Prévert si sarebbe fatto sentire.
Eppure, più passavano i giorni, e più di vetture simili alla mia meno ne vedevo, per non dire proprio nessuna. Avrei dovuto scrivere di tutto questo, ma al terzo Martini – rosso, con soli due cubetti di ghiaccio e niente spicchi d'agrumi, of course - mi ero reso conto che per essere uno scrittore occorre avere un'anima e la mia doveva essere finita impolverata in qualche deposito materiali, di cui avevo perso la memoria e la chiave. Un qualcosa come l' Area 51 o similare.
Poi un giorno tutto questo era cessato.
Il sogno si era spento, spazzato via da un vento che aveva liberato il cielo.
Una pioggia acida si era riversata sul pianeta. Avevo licenziato il mio Ghost-Writer e, rassegnato, avevo fatto l'abbonamento alla metropolitana.
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