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I quadri di Aldo

 

Eravamo in ritardo. Il treno per Monterosso delle nove e ventiquattro doveva già essere partito. Avevo fatto i biglietti di corsa, nell'atrio della stazione di Levanto completamente vuoto. Anche i turisti tedeschi (che normalmente affollavano la stagione) erano già partiti. Di corsa, con Lella al fianco, avevamo sceso la rampa di scale e ci eravamo precipitati verso il binario. E per un tipico ritardo che il treno portava, eravamo riusciti a prenderlo al volo. Era un martedì d'ottobre e il cielo, dopo il temporale notturno, stava lentamente schiarendo.

Nel piccolo vano antistante alle carrozze (ci distanziava un'unica fermata per Monterosso) una coppia era in piedi di fronte a noi.

- Fortuna che era in ritardo - avevo sbottato, trafelato.

- Sono sempre in ritardo - la voce di quel signore vestito di scuro, dalla pesante macchina fotografica appesa al collo, era emersa dall'ombra.

- Forse è proprio questa la debolezza e la forza di noi italiani...- le parole mi erano uscite come un pensiero formulato ad alta voce. Osservavo quell'uomo che ora stava sorridendo sulla mia affermazione.

- Veneto? - avevo domandato.

- No. Siamo di Trieste.

- Ah... Trieste, gran bella città, ci siamo stati tempo fa. - e subito il ricordo era partito sulla visita della città. Come in uno scambio di figurine, alcune immagini sfogliate nella mente mi si affacciavano sui luoghi visitati, impreziosite dalla patina del memoria. Piazza dell'unità d'Italia, il tram Opcina, il canal Grande e il caffè Tommaseo e la chiesa serbo-ortodossa della Santissima Trinità e di San Spiridione.

Poi avevo aggiunto.

- Mi pare che la Rai abbia prodotto delle fiction televisive ambientate a Trieste. -

La donna, sorridendo, aveva annuito, mentre il treno sferragliava imboccando una galleria. Sovrastando il rumore del treno, seguendo il filo di un pensiero improvviso, avevo aggiunto.

- Conosco un pittore, un signore che nonostante i suoi ottantanove anni ha la verve di un ragazzino. È di Trieste e si chiama Aldo Bressanutti.

- Ma è di Muggia...- aveva ribadito l'uomo, e poi aveva aggiunto.

- Ho due quadri suoi in casa. È una storia singolare, molti anni fa, i miei famigliari facevano i piastrellisti e gli avevano piastrellato un bagno. E i due quadri erano stati dati in pagamento. Pensi che poi lui aveva cercato di ricomprarli, negli anni successivi, ma i miei si erano affezionati a quei dipinti e non li avevano venduti. Ora sono lì, appesi nel nostro salotto.-

Aveva terminato la frase mentre il treno stava rallentando per fermarsi a Monterosso. Un breve e veloce saluto e, mentre scendevamo nella stazione, io pensavo a quel singolare incontro che racchiudeva in sé tre persone, distanti geograficamente tra loro e che il caso aveva riunito, per una manciata di minuti, in un treno in corsa.

E il motivo conduttore dell'accadimento era, ancora una volta, la pittura... E mentre scendevo le scale che portavano verso il paese, verso il mare, pensavo che in un altro tempo, in quel luogo (ma che cosa sono i segmenti del tempo?) , il poeta Eugenio Montale aveva vissuto un periodo della sua vita. E ora, con quel pensiero in testa, mi dirigevo in cerca della sua abitazione.

 
 

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