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All'Arcimboldo

elaborazione grafica dell'autore
L'Arcimboldo non è soltanto il nome del singolare artista cinquecentesco che fece da cespi di verdure singolari ritratti di volti umani, ma è anche il nome di un suggestivo ristorante di Sirmione, sul lago di Garda.
Tutte le volte che in viaggio, io e mia moglie, capitiamo in quella zona non manchiamo di fermarci a pranzare. Il ristorante ha nella parte posteriore un suggestivo affaccio sul lago e, se come non bastasse la squisitezza dei piatti cucinati, per questa splendida cornice prospiciente al lago, vale la pena di visitarlo.
C'è poi una particolarità - scoperta quando l'occhio vaga per gli arredi del locale – che per chi ama la storia e l'arte non può non notare. Le due porte che conducono ai servizi, sono pannellate a tutta figura con la riproduzione fotografica di due singolari dipinti.
Un omaggio al periodo del Rinascimento, richiamato da questi dipinti. Sul lato sinistro, si trova il conte Iseppo da Porto, con il figlio Adriano che volge lo sguardo alla sorellina. Il conte fissa l'osservatore mentre appoggia paternamente la mano sulla spalla del suo primogenito. La mano del fanciullo, sfiora con le dita, quella del padre, sancendo così una unione di continuità proiettata sul futuro della casata.
La pittura di Paolo Caliari manifesta in questi due dipinti uno stretto dialogo narrativo. Le vesti opulente dei personaggi incarnano il loro ricco status sociale. L'altro pannello, quello dell'accesso ai servizi delle donne, riproduce la moglie del conte, Livia Thiene, con la figlioletta, la secondogenita della famiglia, Porzia.
La piccola Porzia sporge la mano destra, quasi si aggrappa alle vesti della madre, mentre il suo sguardo (analogo a quello del padre) guarda verso l'osservatore che qui si sostituisce al pittore. Anche la madre, con il medesimo gesto protettivo, appoggia il braccio sulla spalla della piccola mentre il suo sguardo è rivolto verso il marito e il figlio.
Tra i colori della sua veste campeggia il rosso, quasi a contrastare i colori bruni del marito e del figlio. E qui il Veronese dipinge il volto della donna con lo sguardo pensieroso. Pur trattandosi di semplici riproduzioni realizzate nel ventunesimo secolo i due dipinti sono estremamente suggestivi.
Resta la singolare riflessione che la proprietaria del ristorante fa.
Che peccato... gli originali sono così lontani tra loro... Il conte è agli Uffizi, a Firenze, mentre sua moglie, Livia, al Walters Art Museum di Baltimora!
Poi la gentile signora ci accompagna verso la terrazza sul lago, qui un gatto si avvicina, ed è ancora la signora che dice: - Poverino... i proprietari abitavano qui, lui gironzolava e veniva da noi, poi loro hanno traslocato. Lui nella nuova casa dava di matto... non si è abituato, allora lo abbiamo adottato noi e i vicini, e lui è tornato a casa sua.
Nel congedarci mi torna in mente la sequenza di “Allegro non troppo”, il film di Bruno Bozzetto, dove sulle note del Valzer triste di Sibelius, un gatto si aggira tra le rovine di una vecchia casa e ricorda i tempi migliori quanto tutta la famiglia dei proprietari era riunita durante i giorni dell'anno (la sequenza del gatto che si aggira tra le rovine della casa, è ispirata dal gatto della moglie dell'autore del film, che scappò dalla loro nuova casa per tornare in quella vecchia oramai abbattuta per far posto a un condominio).
Ma come bolle di sapone, i ricordi esplodono svanendo. E il nostro micio si aggira tra grigie e fredde stanze vuote, sino a quando un grosso semovente con una enorme palla di ferro inizia a demolire i muri; in realtà anche il gatto è un ricordo destinato a scomparire con quei muri.
Mai metafora dell'umana esistenza è rappresentata in quelle sequenze.
 
Per una questione di privacy questo articolo è pubblicato con l’assenso dei proprietari dell’Arcimboldo.  Elaborazione fotografica dell’autore.
 
 
 

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