Scritto da © max pagani - Dom, 04/07/2010 - 22:41
La foresta era illuminata da una luna di ghiaccio che contrastava con la mite temperatura che tutto scaldava come un leggero manto di velluto. Correvo come un ossesso, inerpicandomi e lasciando nuvole di pezzi di me tra rocce e speroni.
Un cielo stellato come mai si era visto, un'aria serena e tiepida, dove tutto il silenzio era governato e perimetrato da quel momento di totale e quasi innaturale quiete.
Una quiete spettrale, che non covava nulla di buono.
Avevo una specie di cuore in gola, speravo di fare il tempo, il fiato cominciava a mancare e il terrore di non farcela cominciava a salire. Non potevo sublimare.
Volevo crescere, e potere fare il mio tempo.
La foresta era illuminata da una luna di ghiaccio che contrastava con la mite temperatura che tutto scaldava come un leggero manto di velluto. Correvo come un ossesso, inerpicandomi e lasciando nuvole di pezzi di me tra rocce e speroni.
Continuavo a salire e poi, come per insperato miracolo, lo vidi in lontananza, incastonato sul fronte del massiccio principale, era tutto roccia e pietra solida intorno, si poteva riconoscere l'enorme ingresso presidiato dall'invisibile ma percepibile supervisore, raffigurato come fosse un massiccio enorme portone di quercia.
Il rifugio era basso e largo, con una idea di immenso e dava senso di sicurezza, senso di millenni passati e fatti scivolare sopra, senza il minimo danno, e senza nessuna voglia di poter cambiare.
Arrivai all'ingresso, sopra di me torreggiava la scritta "Rifugio per Temporali".
Entrai di corsa e mi lasciai l'atmosfera immobile ghiaccio luna alle mie spalle. Dentro, era pieno di temporali rifugiati, un poco impauriti, in attesa del loro momento. Immobili, ognuno perso nel suo tempo.
Mi trovai un posticino, e mi misi ad aspettare con loro.
E come uno di loro, finalmente, potevo cominciavo a crescere.
Fine.
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