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Quel suono dolce

Il suono dolce, il fluire di gennaio, noi e le nostre cose, la scrittura, breve, intensa, vera…
Io mi adagio in tutto questo e a te rimando una luce, quella del nostro sorriso.
(Un altro estratto del tempo di Mizar)
“Ho scoperto un mondo di umanità dentro i segni tracciati dalle matite di sabbia. Colava il segno senza frenesia e ci allungava la vista, e senza udito eravamo, se non fosse stato per il flebile fruscio che fuoriusciva dalla sabbia, mentre cadeva sul blu per lasciarvi delle tracce di noi. Come un rincasare a sera, dopo gli assolvimenti del giorno e un perpetuare sensibilità ancora e ancora. E vederla scritta lentamente sul letto blu della tela adagiata e spostare il tratto più in là, proprio dove l’incontro col segno dell’altro, l’altrui mano, e pensiero o sogno... eccolo nel suo dispiegarsi.
Ho assistito alla Creazione del Mondo, mentre ognuno di noi tracciava e tracciava, senza limiti di spazio, incontrando l’altrui segno, incastrandolo, incrociandolo o semplicemente accarezzandolo appena, magari con un punto, una nota, un graffio leggero, una dimenticanza di luglio. Ho assistito e colmato spazi miei interiori e ancora vuoti, sempre. Ho fermato il tempo dentro questa lunghissima striscia di sogni poi ecco… all’improvviso si rese necessario il disfare, il disfare il creato, il creabile, il necessitato, il necessitabile. E ora, così come lentamente era nato il bosco dei segni, così ugualmente ogni segno sarebbe scomparso, in una dissolvenza che può trovare il suo tempo nell’intervallo del canto delle cicale. Sì, proprio in quello spazio del nulla, quando lo sciame delle cicale ubbidisce a qualcosa di remoto e, come un’unica voce, smette all’improvviso. Così le matite di sabbia hanno cessato di scrivere e poi nel disfare, ecco che ognuno poteva seguire la lenta incessante scomparsa dei segni, dei sogni di ognuno e la sabbia infine avrebbe ritrovato il suo letto più naturale e schivo direi, quello primario, mentre riconfluiva indisegnata, indistinta in un alveo, come seguendo il richiamo del fiume.
Nessuna tristezza nella dissolvenza, semmai qualcosa di caldo e di tenero che si agita dentro ognuno di noi.”

Così avevamo scritto, parlato, detto. Così noi ritrovati e poi ancora persi.
Dove sono io?
Dove sei tu?

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