Scritto da © Hjeronimus - Lun, 04/04/2011 - 22:08
Un mostro si aggira sotto la pelle delle nostre orgogliose metropoli, un idra di tenebre sciaguatta come sangue nero nelle vene maleodoranti delle cloache cittadine; o forse una chimera- ottenebrante, allucinogena, che, come droga, ci s’inietta dentro, nel sangue, e ci ubriaca di cattiveria e di desiderio. E’ il potere.
Le persone, prese così, singolarmente, non sono mai malaccio. Si riesce sempre a tirar fuori un po’ di buono, da chiunque. Ma non appena vengono sfiorate dalla “porporina” inebriante della potenza, della “volontà di potenza”, ecco che una specie di morbo assatanato gli toglie il respiro e il discernimento, e una sorta di calcolo subdolo, vigliacco, s’impossessa delle loro anime e le trascina altrove da quella coscienza immediata che le rendeva fino a poc’anzi affabili e persino gradevoli. Il “senso” di poter disporre praticamente del destino altrui, per quanto poco e di poco effetto, monta immantinente all’immaginazione e rende l’uomo letteralmente schiavo del senso che lo fa sentire padrone. Così che incomincia subito a ordire trame onde mantenere questo status che lui presuppone di superiorità sull’altro. Come una droga gli s’infiltra nel cervello un velenoso piacere che gli fa immaginare un godimento nell’atto invece di una supina genuflessione alla spinta sadica del comando. Impara così a godere delle proprie malefatte come fossero fioretti; e a usare la menzogna come facesse beneficenza. Senza più lo scrupolo morale che, fino a quel momento, ossia fino al momento della sua metamorfosi nella “volontà di potenza”, ne faceva una persona normale.
E’ questo uno degli aspetti del delirio che attanaglia il contemporaneo. Si è come presi in un vortice
di pretesa onnipotenza e monta un desiderio incolmabile di disporne a proprio capriccio. E’ un sogno cattivo, una sorta di orgasmo maligno che dà compiacenza, come il martirio compiace al masochista. Ma come ogni sorgente di piacere, è cieco- e non arriva mai alla consapevolezza del disastro incommensurabile ch’esso cova al disotto delle sue scintillanti performance…
Così la sete di potere si pietrifica in un qualche totem allucinante, in un qualsiasi anchorman qualunquista che si erge a parabola del male che si vorrebbe pur compiere ma di cui non si è capaci. E si fa sì che sia lui a compierlo per transfert, per interposta persona, di modo di potersi infine sentire partecipi di quel medesimo potere maligno che si è costretti a subire invece continuamente e che si brama di ritorcere sul primo capro espiatorio a portata, per abbandonarsi liberamente all’orgasmo negativo che spinge e angaria da dentro.
L’uomo vuole il potere, cioè il male. Ma non sa come procurarselo e finisce così per demandarlo a qualcheduno che realizzi per lui, in sua vece, tutto l’odio che deriva dall’aver sempre subito quello altrui e che ritiene in tal guisa di rivalere.
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