Scritto da © Manuela Verbasi - Gio, 10/11/2011 - 20:57
Benedetti poeti, anime sospese in fantastici voli, fuochi di vulcano in esplosioni di lava o flebili fiamme condite d'amaro. Legati alle metafore usate come maschere, reduci da mille morti e mille rinascite, i poeti.
Tele di cotone nell'estate che secca la lingua e chiede freschezza, pronti nei tuffi fra cascate e pozzanghere, il cuore a tamburo in petto, gli occhi lucidi.
Poeti innamorati di tutto, attenti ad ogni mutamento, sfumature di terra e cielo. Pittori di quadri a parole, fotografi di circostanze ancora da accadere. Delusi, svogliati, impavidi, poeti.
Mille parole nei regali di Natale, mille speranze da regalarsi, regalare, la voglia di tornare ragazzi coi sogni vergini, non ancora disprezzati derisi e disillusi.
Poeti armati di spada pronti ad infilzare la carogna di turno, danzatori di carillon sulle punte delle loro scarpe da tennis.
Poeti amareggiati sciolti nell'inchiostro del loro mare, ondeggianti sulla superficie di uno specchio.
Poeti lacerati e graffiati, fettine di carne macerata, pugnalati dalla vita, risorti o morti. Poeti di tutti, poeti di nessuno, mansueti nel gregge degli stereotipi, uccisi da un vocabolario che allontana dal vero e rinchiude la poesia nelle cripte, nei cunicoli sotto le chiese dove sembra ci siano spiriti ad appestare l'aria di morte e muffa.
Fantasie nella tasca dei sassolini, rime senza pace, sciropposi di sentimenti ingigantiti, i poeti e i loro versi, ingialliti e accartocciati come la stagione che vivono, ritrovati, spolverati di zucchero e paprica.
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