Scritto da © Piero Lo Iacono - Ven, 01/12/2017 - 20:48
Io fin da bambino ebbi le stimmate a sangue dalle parole.
Quando annusarono che mi incantava il loro suono
gli amici contadini dicevano a mio padre:
“quello si porta un male di poeta. Perderà l’anima
al vento e svanirà insieme alle nuvole e ai vapori.
È matto e come tutti i matti prima o poi
si inginocchierà per chiamare il sole”.
E mio padre e mia madre facevano gli scongiuri:
“un poeta nella nostra famiglia, che vergogna!”.
Un giorno mi lapidarono, non i miei genitori,
ma altri amici miei, mentre mi scoprirono a dire
parole alle magnolie e a certe farfalle del viale.
Mi lapidarono e non rimase nulla di me
se non questa lingua che vi parla…
rossa, come di bue. È una lingua come
un’altra, estratta da quel taglio tra il
naso e la gola che chiamano bocca.
Chi ha detto che è una fortuna amare le parole?
Oggi un dépliant invita i turisti a visitare il paese
dove nacqui e nocqui ma racconta un’altra storia:
«Venite, venite a Cadruccioli -dice- c’è la lingua
rabdomantica del poeta, crocifissa su un paletto
ed esposta in uno scrigno accanto alla lingua
del santo sul cuneo d’oro che potete fotografare
e vi porterà salute e danari. Come vi è finita?
È accaduto che un giorno il re disse il poeta
adopera un pensiero di troppo, a volte tre. E
ordinò che lo decapitassero vivo con tutti i suoi
pensieri. Poi evirata la sua lingua la ripose
in questo ciborio di cristallo che qui ora
tutti potete ammirare». Questo dice il volantino ma
sotto la teca -se ti abbassi- leggi un verso del Parini:
“La lingua de’ Poeti è sempre l’ultima a guastarsi”[1]
Quando annusarono che mi incantava il loro suono
gli amici contadini dicevano a mio padre:
“quello si porta un male di poeta. Perderà l’anima
al vento e svanirà insieme alle nuvole e ai vapori.
È matto e come tutti i matti prima o poi
si inginocchierà per chiamare il sole”.
E mio padre e mia madre facevano gli scongiuri:
“un poeta nella nostra famiglia, che vergogna!”.
Un giorno mi lapidarono, non i miei genitori,
ma altri amici miei, mentre mi scoprirono a dire
parole alle magnolie e a certe farfalle del viale.
Mi lapidarono e non rimase nulla di me
se non questa lingua che vi parla…
rossa, come di bue. È una lingua come
un’altra, estratta da quel taglio tra il
naso e la gola che chiamano bocca.
Chi ha detto che è una fortuna amare le parole?
Oggi un dépliant invita i turisti a visitare il paese
dove nacqui e nocqui ma racconta un’altra storia:
«Venite, venite a Cadruccioli -dice- c’è la lingua
rabdomantica del poeta, crocifissa su un paletto
ed esposta in uno scrigno accanto alla lingua
del santo sul cuneo d’oro che potete fotografare
e vi porterà salute e danari. Come vi è finita?
È accaduto che un giorno il re disse il poeta
adopera un pensiero di troppo, a volte tre. E
ordinò che lo decapitassero vivo con tutti i suoi
pensieri. Poi evirata la sua lingua la ripose
in questo ciborio di cristallo che qui ora
tutti potete ammirare». Questo dice il volantino ma
sotto la teca -se ti abbassi- leggi un verso del Parini:
“La lingua de’ Poeti è sempre l’ultima a guastarsi”[1]
[1] GIUSEPPE PARINI, “Dialogo sopra la nobiltà”, 1757
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