Scritto da © Piero Lo Iacono - Gio, 16/08/2012 - 09:17
Come farò a superare la tua mancanza?
In controluce non vedo.
Avevamo unito
la mia manchevolezza
al tuo ammanco.
E ce ne avvitammo.
Piangono ora le mie parole colpevoli
di non averti saputo intrattenere.
Incapaci di convincerci a restare.
Tante le esitazioni a cui
non osammo dar voce.
Ho plasmato una lacrima rotonda come un oblò.
Un cerchio perfetto come la O di Giotto.
Un madrigale di silenzio.
La tua mancanza mi attraversa
come una morte in piena vita.
Ci radicammo come in un semenzaio
irradiandocene. Ma forse vanveriamo.
Un ferro di cavallo le tue braccia.
Una foce. Un delta.
Le mani crescono per necessità.
Le dita spuntano per bisogno,
non sono scontate.
(La necessità induce strutture di bisogno).
Si muore all’unisono con certe morti.
Noi modulammo gli sguardi, le nostre eclissi.
(“Sintonizzammo” tu mi correggi).
Lasciarsi fu perdersi.
Vidi la nuca del tuo allontanarti
divenire un punto
nel buco nero della memoria.
Risorgerà l’alba e della notte
non terrà nessun ricordo.
Oblio e morte sono le ultime libertà.
Ora il tuo silenzio e la tua assenza si somigliano.
E tacciamo per paura di capirci.
(“I know lives, I could miss/ Without a Misery/ Others—whose instant’s wanting—/ Would be Eternity” (Emily Dickinson)
(“Conosco vite della cui mancanza/ non soffrirei affatto/ di altre invece ogni attimo di assenza/ mi sembrerebbe eterno”)
25-6-2006
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