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Non usate Google Chrome! (?)

“ - A cosa serve Internet Explorer?"
“ - A scaricare Google Chrome!”
 
È una battuta oggi molto in voga fra gli “esperti” di informatica. E non solo fra loro. Google Chrome, il re dei browser! Così convincente che pare che la Microsoft sia intenzionata ad abbandonare il suo prodotto. Perché pieno di bug, si vocifera, non certo per impedire lo scarico di Chrome. Anche se, forse, ne sarebbero pure capaci.
Beh, dico io, se non altro, sono bug, non “feature”. Perché i bug si cercano, si studiano, si eliminano. Le “feature”, ovvero le “funzionalità”, no.
Sembrerebbe che io abbia il dente avvelenato contro Chrome. In realtà, ho il dente avvelenato contro l'intera informatica di oggi, e pessimi presagi per quella di domani. Da qui, il punto interrogativo fra parentesi del titolo. Sì, il mio discorso parte da quello che ho scoperto, e denunciato, a proposito di questo browser, ma va ben oltre questo problema, e considerata l'importanza che ha oggi l'uso degli strumenti informatici, e di Internet in particolare, la vedo molto nera. Al punto che dovrei scrivere: non usate il pc, tornate a carta e penna.
Già, ma come si fa? Oggi l’intero mondo è gestito dai computer. Dal semplice certificato alla prenotazione di un viaggio, alla gestione del proprio conto bancario, alla guida di treni ed aerei, addirittura all’esecuzione di interventi chirurgici…
Ma partiamo dall’inizio.
Ho pubblicato, di recente, un paio di articoli (“Keep calm… che ti frego le password” e “Keep calm... la bestia vive ancora”), e, con gli stessi titoli, altrettanti video su YouTube, su una funzionalità sconosciuta ai più e molto pericolosa del browser Google Chrome. Due lavori forse un po’ confusi, perché molte cose non mi erano chiare sul meccanismo che avevo appena “scoperto”, affiancati in seguito da un terzo video, “The way Google Chrome spreads our passwords”, all’indirizzo http://youtu.be/mteDKTWDNRo, con cui riesco finalmente a descrivere in maniera precisa e concisa ciò che accade, e come accade. Il video è in inglese (ma un inglese molto elementare, con poche e semplici frasi, e solo scritto), perché il problema non è circoscritto entro i confini della nostra amata patria. E perché speravo di conquistare, nel mondo, un’audience che in Italia non avevo avuto.
Ovviamente, ho cercato di divulgare la cosa in modo che raggiungesse più gente possibile. Ho pubblicato gli articoli, oltre che sul mio blog, su vari siti letterari; scritto ad alcuni quotidiani e a qualche rivista di informatica; condiviso su Facebook e Google+ i link a video e articoli; mi sono iscritto ad un po’ di gruppi di Facebook interessati al mondo dell’informatica…
Eccetto che per qualche commento, ed apprezzamento, da parte di qualcuno che si era trovato a vivere con grande perplessità l’esperienza descritta (come quelli di una madre che aveva finalmente potuto sollevare il figlio, sul cui computer aveva trovato credenziali ed indirizzi suoi, da pesanti quanto enigmatici sospetti), ed aveva ora capito cos’era successo, nessuna reazione apprezzabile. Niente dello scompiglio e del fermento che mi ero atteso di fronte ad una informazione del genere.
Giornali e riviste non mi hanno… ehm, come suol dirsi… manco di striscio: non dico competere con l’attentato di Tunisi o l’airbus schiantato contro una montagna, ma pensavo che la mia scoperta potesse essere un tantino più importante delle intenzioni della Marini di avere un figlio o delle smagliature in bikini di una madre di tre figli…
Idem da parte delle centinaia di utenti Facebook che, con l’iscrizione a vari gruppi, dovrei aver raggiunto. Qualche “mi piace”, qualche condivisione… Probabilmente, avrei avuto più successo se mi fossi filmato in mutande.
A meno che…
… non è che, per caso, avessi solo scoperto l’acqua calda?
Dubbio rafforzato dalla risposta di un mio “amico” (su Facebook si chiamano così) nel gruppo “Messina Web2.0”, che, da vero esperto, dopo aver sinteticamente definito in modo colorito e prettamente siciliano le mie osservazioni spiega: “E certo se cambi l'account di sincronizzazione lui sincronizza con quello con cui sei collegato... È normale...”
Bene: a quanto pareva, avevo scoperto l’acqua calda.
Ho tentato di ribattere che poteva essere anche normale, ma certo era pericoloso.
Risposta, qui condensata: “Tutto è pericoloso, e se uno non capisce di computer non dovrebbe installare Chrome”.
Mia replica finale, che chiude il discorso: “…non mi risulta che Google, quando istalli il suo browser, ti avverta dicendo: senti amico, se ne capisci vai avanti, altrimenti lascia perdere e goditi Explorer”.
Non so se con tale battuta abbia convinto il mio rivale, o se lui si sia solo rotto di questa penosa conversazione, ma in effetti, se fate una ricerca su Google usando le parole “chrome” e  “installazione” (aggiungo la parola installazione per far comparire subito i link in italiano), uno dei primi collegamenti proposti recita testualmente:
 
Browser Chrome - Google
https://www.google.it/chrome/browser/desktop/
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Google Chrome è un browser web veloce, semplice e sicuro, ideato per il Web moderno.
 
Semplice e sicuro.
Non ho avuto questa impressione. E la contestazione del mio “amico” di Facebook mi pare contraddica fortemente questa descrizione.
Non mi sembra tanto semplice un browser che, se vuoi usarlo senza rischi, è bene che ti legga qualche centinaio di pagine di istruzioni. E le capisca bene, nonostante i termini inevitabilmente tecnici usati. Che, per le sue funzionalità avanzate, è rivolto ad una utenza di esperti. E non definirei sicuro un browser con un comportamento molto diverso da quello di altri prodotti concorrenti, e che, se non lo conosci a fondo, rischia di compromettere non solo la tua privacy, ma anche la tua rispettabilità (pensa se qualcuno manda per e-mail o pubblica sul tuo social network delle porcate a tuo nome) o il tuo conto in banca.
Così, a questo punto, non mi rimane altro da fare che consigliare, alle persone che riesco a raggiungere con i miei scritti, di non usare Chrome. Non, almeno, se non sei un guru dell’informatica. Perché Chrome è tutt’altro che semplice, e tutt’altro che sicuro.
Questo invito dà il titolo al presente scritto: Non usate Google Chrome! (?)
Ma non finisce qui. Perché devo spiegare il punto interrogativo fra parentesi che segue quello, lecito, esclamativo.
Se la colpa fosse solo degli ingegneri di Google, forse la questione sarebbe più o meno facilmente risolvibile. Se il problema fosse solo una cavolata nella progettazione di un programma, basterebbe individuarla e correggerla. Magari i miei articoli sono passati inosservati perché non è ancora successo niente di eclatante, ma il giorno in cui ci scapperà il morto (parlo in senso figurato, ovviamente… spero) il caso scoppierà, e qualcuno metterà riparo al pasticcio, mentre i soliti esperti del giorno dopo si metteranno a pontificare sul perché non si era intervenuti prima. In fondo non sarebbe nemmeno difficile: basterebbe richiedere la password dell’utente del computer prima di attivare la sincronizzazione, in modo da garantirsi che il richiedente abbia un qualche diritto su “quel” computer, e quindi sul browser in uso, e rifiutarsi di eseguirla nel caso di pc non protetti da password, come avviene, per esempio, con la funzionalità di desktop remoto di Windows. Un’accortezza che non ha niente di geniale, ma che sembra dimostrare come gli ingegneri della Microsoft siano (stati?) più intelligenti di quelli di Google. Che è quanto dire. In questo modo, la pericolosità di questa funzione potrebbe se non altro scendere a livelli più accettabili.
Ma il problema non è solo quello.
Intanto, scopro che Mozilla Firefox offre un servizio chiamato Sync. Se lo si lancia, questo recita, testualmente:
 
Benvenuto in Sync
Accedi per sincronizzare schede, segnalibri, password e altri elementi.
 
Caspita! Io non l’ho provato, né intendo farlo. Il ruolo della Cassandra non mi entusiasma e, visti i deludenti risultati, credo di aver speso già troppo tempo sulla questione. Ma, a giudicare dalla presentazione, mi sembra logico sospettare che si tratti di una boiata identica a quella di Chrome che sto contestando. Con Firefox, perlomeno, viene attivata solo dietro esplicita richiesta. Non che risolva del tutto il problema, ma almeno se ne evita l’avvio inconsapevole ed inspiegabile.
Non un errore di progettazione, dunque, ma una vera e propria consolidata corrente di pensiero! Chissà Opera, Safari e gli altri?
No, il problema non è solo questo.
Il problema è il modo in cui il mondo dell’informatica sta progredendo. Un mondo in cui non esistono solo le cretinate degli ingegneri di Google, o la stupidità di utenti evoluti che giudicano normali certe scelte balorde, ma anche, per esempio, le decisioni idiote di abolire menù testuali e rimpiazzarli con semplici icone (Office 2007, Windows 8, Ubuntu 11 e successivi…), per cui un utente dovrebbe capire come lanciare una funzione o un applicativo scegliendo fra decine di insignificanti ed incomprensibili disegnini che dovrebbero far capire la funzione di quel determinato pulsante, come avviene su tablet e smartphone. Come se l’informatica consistesse solo nel riprendere belle ragazze in bikini ed abiti succinti che danzano allegramente in riva al mare. Il mondo della Information Technology in mano a persone che “leggono” un fumetto guardando solo le figure, pare. In mano a progettisti incoscienti, forse anche incompetenti, certamente irresponsabili. E padroni del mondo.
Certo che fra tecnocrati, despoti e ladroni, siamo decisamente messi male. Dove finisce la corruzione, comincia l’idiozia. O viceversa.
Un mondo in cui esiste solo la ricerca della potenza più spinta e degli effetti speciali più sorprendenti, a discapito della funzionalità e della stabilità del sistema. Programmi e sistemi operativi che offrono meraviglie e vanno in crash al primo alito di vento. Caso penoso quanto eclatante, quello delle versioni desktop di Linux. Con queste varianti, i fautori del software libero vorrebbero competere e togliere utenti al mondo Microsoft, offrendo prodotti con interfacce confuse ed incomprensibili e centinaia di programmi che dovrebbero fare una cosa e non la fanno, o, per fargliela fare, pretendono impostazioni e configurazioni che fanno impallidire i progetti di Vilcoyote per riuscire ad agguantare il simil-struzzo Bip-Bip. Per fortuna (loro), pare che Microsoft non riesca, dopo XP, a produrre un sistema operativo degno di questo nome, per cui la battaglia è ancora aperta. Sono convinto che, all’epoca, Bill Gates se ne sia andato in pensione a 52 anni (beato lui!) per evitare di licenziare tutta la Microsoft.
Un’informatica astrusa e contorta, esatto opposto di quella chiara ed intuitiva gestita dalle prime versioni (vere) di Windows (95, 98 ed il mitico, recente buonanima, XP). Incomprensibile, e a quanto pare disseminata anche di insidiosi trabocchetti, sconosciuti ai più. Qualcuno, magari, solo inquietante, come quello che fa comparire, nei banner pubblicitari dei siti che visitiamo, pubblicità di prodotti direttamente correlati all’ultima ricerca fatta con Google (già, sempre lui), ma in fin dei conti inoffensivo, magari persino comodo; altri decisamente più minacciosi, come il farsi sottrarre cronologia e password da parte di un qualsiasi furbacchione se non si è padroni al 100% dello strumento che si sta adoperando. Ed oggi messo in mano, nelle pubbliche amministrazioni, a sprovveduti ultrasessantenni che, con il cuore e la mente sempre rivolti a madama Fornero, a mala pena riescono ad eseguire qualche operazione seguendo frettolosi appunti scarabocchiati su un pezzetto di carta, figuriamoci quanto possano capire di discorsi, vitali, legati a funzionalità, efficienza e sicurezza.
Ma già, i politici legiferano, i sindacati concordano, altre pensioni non si possono concedere (anche se basterebbe intaccare leggermente quelle d’oro, un abominio incomprensibile difeso e legittimato solo, secondo i giudici della consulta e i politici più “avveduti”, dalla “costituzione più bella del mondo”, per consentire il pensionamento di gente che non ce la fa più, che non è all’altezza delle sfide che si trova davanti, e sostituirla con carni e menti fresche che, sottratte alla disoccupazione, avrebbero molte più chance per far decollare una pubblica amministrazione realmente informatizzata), i grandi informatici realizzano strumenti astrusi e pieni di trappole per i più sprovveduti (e non solo, sono trentacinque anni che io vivo di informatica e non mi sento di essere esattamente uno sprovveduto), e assieme andiamo tutti fiduciosi verso la catastrofe, in nome del progresso, della tecnologia e dell’efficienza.
 

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