Scritto da © taglioavvenuto - Gio, 09/09/2010 - 12:49
Sono un uomo esagerato, elefante.
La categorizzazione prendetela per il lembo che vi pare, anche quella del salone degli specchi mi sta bene.
Come il pachiderma sono un solitario, iroso; potrei diventare addirittura il folle per cui l’uccidere fa il pari all’esistenza; tengo al gruppo perché costituisce “l’altro pascolo”. Non ne avrei necessità, altrimenti.
La proboscide è l’organo cui devo la mia sopravvivenza, il sesso il soddisfacimento quando il primo m’avverte d’essere ormai giunto a saturazione: la prosecuzione dell’impossibile dell’andare oltre
E’ il mio naso ottomanno, è questo che oltrepassa i vincoli del senso del distinguo sottraendo all’ossigeno le particelle delle essenze primordiali.
Le avrei recepite, scelsi ricadendo per sorteggio nei proboscidati, per calmare l’ansia come una radura intera di camomilla, i fiori gialli, ai piedi delle robinie, quale acceleratore degli ormoni pompati al sangue quando scuoto il capo, sventolo le orecchie, miro le zanne ai concorrenti, le braci negli occhi.
Erto sulle zampe posteriori, se ad affrontarmi deve essere la groppa di una femmina.
Barrisco, allora: temibilità, l’abbandono, me stesso, angosce.
Le bandisco tornandomene a sdraiarmi felice al fiume, tornata a galleggiare sui venti come un aquilone la proverbiale memoria di paradisi artificiali.
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