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Ora basta

Alla fine aveva deciso, si era detto: ora basta.
Era uscito dall'ufficio, al calar della sera, con chiara in testa la decisione presa: basta, basta con il segreto, con le bugie inventate al momento, basta con una storia parallela che creava troppe complicazioni ad una serena vita di coppia.
Già da qualche tempo leggeva negli occhi di sua moglie e di Angela, sua figlia sedicenne, l'aura di un dubbio, l'ombra di un'incredulità che man mano prendeva forma.
Sapeva che tutti, da sempre, lo consideravano uomo insospettabile della minima scorrettezza, offesa, deviazione dalla retta via. Eppure ora il sospetto aleggiava nell'aria, sino a pochi mesi fa tersa, di casa sua.
Certo, aveva sbagliato a non raccontare subito a sua moglie di quell'incontro; ma aveva avuto forte il desiderio di tenersi uno scampolo di vita tutto per sé, un'ora al di fuori dal corso preordinato della sua esistenza "ufficiale".
Ora basta, avrebbe detto tutto a sua moglie, avrebbe lacerato quel velo tutto personale, un po' romantico, che avvolgeva quella sua ora serale.

Sì, doveva riconoscerlo, era da aprile, da quando l'aveva conosciuta al parco che attraversava per tornare a casa la sera, che aveva improvvisamente mutato, seppur di poco, l'orario del suo ritorno: usciva dall'ufficio una trentina di minuti prima e arrivava a casa una decina di minuti più tardi.
Era accaduto in una delle prime serate tiepide di primavera; camminava lentamente, godendo la giornata allungata, il ritrovato verdeggiare delle piante e dei prati, il volo degli uccelli; dapprima il suo sguardo aveva sfiorato appena la figuretta seduta, quasi accasciata sulla panchina. Aveva sentito subito un doppio impulso: a continuare per la sua strada ma anche a fermarsi come se quella donna lo chiamasse.
Si era fermato e da quel fermarsi la sua vita aveva preso un nuovo corso.

Ora basta, si era detto ancora, aprendo la porta di casa.

Appena entrato era stato assalito dalla moglie con gli occhi arrossati di pianto, aveva visto la figlia, che piangeva pure lei seduta sul divano.
"Come hai potuto -  gridava la moglie, fissandolo con il viso stravolto - so tutto, è una settimana che mio fratello ti segue quando esci dall'ufficio e vai sempre lì, in quell'appartamento del terzo piano in via Goito, da questa Clotilde nonsochè".
"Ora basta - urlava ancora - non posso, anzi non possiamo, vero Angela, non possiamo più vivere con te. Ti prego di lasciare subito, stasera stessa, questa casa. Angela ed io andiamo a cena da mio fratello, al ritorno non vogliamo più vederti, hai capito".
Lui era rimasto impietrito, quell'odio nello sguardo di lei gli era sconosciuto ed inaspettato, sembrava un'altra donna, non quella che da quasi vent'anni gli era accanto; e Angela, così distaccata, così certa della colpa del padre, così irraggiungibile, sembrava una ragazza che si trovasse lì per caso, non fosse stato per il pianto, più di rabbia che di dolore, che la scuoteva. Gli era sembrato che mormorasse, tra i singulti: cosa diranno le mie amiche, cosa...
Impietrito era ed impietrito era rimasto, non aveva detto nulla, del resto la moglie nemmeno gliene aveva dato il tempo: "andiamo, Angela"  - aveva detto, senza nemmeno più guardarlo.
Erano uscite tutte e due, dalla casa, dal suo cuore e dalla sua vita.
In cucina si era versato un bicchiere d'acqua e, seduto al tavolo, aveva rimuginato sul da farsi.
Avrebbe potuto telefonare al cognato e spiegarli tutto, la situazione si sarebbe sicuramente risolta; ma non riusciva a dimenticare quello sguardo davvero cattivo di sua moglie e la distanza di Angela.
Infine aveva preparato due valigie con i suoi vestiti ed effetti personali ed era uscito.

Ormai da tre mesi vive nella camera degli ospiti di Clotilde, settantatreenne fragile signora vedova e quasi totalmente cieca.
Continua ogni sera, quando torna dall'ufficio, a leggerle il giornale, un libro o il gossip delle riviste, esattamente come le aveva promesso quel giorno di aprile, al parco, per rasserenarla della sua disperata solitudine.
Certo, un'azione gentile, ma non altruista: a lui piace quel ritaglio di tempo dedicato a Clotilde ma anche a se stesso, all'altro se stesso che, se rinascesse, sceglierebbe certamente una vita diversa da quella che aveva condotto sino a pochi mesi prima, meno ricca di apparenza ma più piena di generosità.
Ha, per questo, perso una famiglia? si domanda di tanto in tanto. Forse si, forse no, si risponde, dipende dai punti di vista.
Ora basta, si dice ancora, pensiamo al domani

   

 

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