Lorè- pag. 7/210 | Prosa e racconti | 'O Malament | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Lorè- pag. 7/210

Me ne ero andato sperando di non rivederli mai più.
Ma ora dove avrei potuto rifugiarmi per evitare di essere sorpreso, magari nel sonno, ed esser fatto fuori? Mi sentivo nudo.
Il materassaio, come da mio ordine, aveva recapitato due materassi nel basso di nonna Teresì ed ella, la notte che le portai altre trenta lire, raccontò che il giorno prima due giovanotti s'erano soffermati ad asciugarsi la fronte sudata, sulla porta del basso.
Ma lei, seduta lì fuori, sullo scalino; li aveva apostrofati in malo modo, ed essi, sghignazzando indifferenti, avevano ripreso a camminare solo dopo aver dato un' occhiata all'interno,
Conoscevano Fernà, la figlia di Concé, la dirimpettaia perché questa li aveva salutati con gli occhi; uno sguardo che a nonna non era sfuggito.
"Che, ce sta Loré, è turnate?"
"Spere che tuorna...a salutamm almene, tu comme stai?"
"Ah...ie...!"

Non si fidava di Fernà e me lo voleva far capire, voleva dirmi di stare in guardia, quei due delinquenti la conoscevano ed avrebbero chiesto a lei se passavo, se mi ero fermato.
Nonna fece per alzarsi, ma poi mi strinse forte le dita rimanendo distesa sul materasso gonfio, duro e nuovo, che le provocava ancor più dolori, mentre me lo raccontava, "nun me so piaciute st' uocchie 'e Fernà…e manche chiste matarazz me chiace! Nun me chiace proprie".
Non lo chiedeva più, di Assuntì. Aveva capito tutto il mio dramma.
Per non farmi prendere da alcuna tentazione, perché continuasse ad essere per me la buona nonna Teresì e null'altro, per non cadere nella disperazione, perché per il bene che mi voleva una notte o l'altra non si sarebbe opposta ed avrebbe accettato tutto, me ne andai a dormire nell'antro una volta l'ingresso del campanile della chiesa sconsacrata sù nella piccola collina, ormai ridotto ad un rudere, ringraziando il cielo che la stagione era ancora calda e, non ringraziandolo, perché da lì la casa della giudea, quella dove Vincenzine svolgeva la funzione di factotum, a causa di Assuntì, una ragazzetta sciagurata, non avrei potuto più vederla.
Ogni tanto, la notte, mi svegliavo di soprassalto, l'impressione che qualcuno mi stesse osservando. Ma riuscivo a riposare ugualmente: bastavano poche ore, tre o quattro di sonno profondo per rimettermi in sesto.
Ogni giorno di quei due mesi e mezzo lo avevo trascorso dividendomi fra il sorvegliare la casa della zoccola, madre del mio ex compare, e quella dove egli adesso abitava, ma dalla postazione che avevo scelto per vedere questa, l'unica non a rischio, non potevo scorgere quanto avveniva nel cortile, coperto dalle mura: un luogo nevralgico per ordire un piano per eliminare i miei mortali nemici.
Dovevo presumere tutto dai movimenti oltre il cancello, purtroppo.
Rispetto a quando ci abitavo, da quelle parti, ora non c'erano più code davanti al basso della zoccola; né mai ci avevo visto tornare suo figlio Vincenzine. Arguivo quindi che qualcosa di vero doveva esserci in ciò che m'aveva raccontato Francé; che lo stesso Vincenzì si fosse preso per amante fisso il femminiello più attizzoso dell'intera città, Boccadoro, ed avesse abbandonata a se stessa la madre.
Se volevo prendermi qualcosa da mettere in pancia me ne andavo alla porta di Forcella nelle prime ore del mattino, cioè nelle ore più oziose per l'osservazione, ma più fruttuose per la scelta del mettere sotto i denti.

Di lì dovevano passare, all'alba, tutti i carretti degli agricoltori, i fornitori dei commercianti del quartiere. Non ero solo, eravamo uno stuolo, noi guagliune, e quegli agricoltori lo sapevano che la frutta e la verdura cala, la carichi che ha un peso ed all'arrivo ne ha un poco di meno.
Così, snocciolando un pò di frutta secca, qualche oliva, anche quel giorno potei rivedere finalmente Marì comparire sulla porta, che ormai i bottegai se li faceva venire a casa.
Era rimasta come la ricordavo, bianchissima di pelle e abbondante, i bei capelli corvini e lunghi; peccato fosse tanto stronza.
Me la stavo rimirando con in testa sempre più pressante il pensiero di fare una pazzia, una notte entrarci in casa e prenderla, violentarla se fosse stato necessario, farle riprovare la passione che una volta, di nascosto al figlio suo, me l'aveva unita e fatta amare, quando mi parve di sentire un leggero ma nemmeno scalpiccio, una folata di vento incunearsi tra le sterpaglie antistanti il campanile.

Mi voltai e vidi la testa dell'ombra allungarsi furtivamente fino allo scalino in pietra rossa.

 

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