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Le tre scimmiette

 
Buongiorno.  Si dice così, no? Voglio dire, la cortesia impone di anteporre un saluto quando ci si incontra, anche e direi soprattutto, tra sconosciuti. Più che di cortesia sarebbe però giusto parlare di convenzioni, consuetudini. Conformismo, insomma.
Mi chiamo Plinio, ho un’età che si potrebbe definire ragguardevole, trascorro le giornate seduto davanti casa in compagnia dei miei due coetanei Sallustio e Tacito (a dire la verità il suo vero nome sarebbe un altro, ma ormai non se lo ricorda più nessuno). Facciamo parte, insomma, di quella consistente porzione di umanità che si limita a guardare. Noi lo facciamo per necessità, siccome l’età avanzata ci ha recato in dono, oltreché  il consueto armamentario di acciacchi, anche  la cecità per me e la sordità per Sallustio. Tacito no, lui ha tutti i sensi perfettamente funzionanti.  Però non parla. Di sua spontanea volontà. Non parla da anni, decenni ormai. Perciò il soprannome.
Perciò i soprannomi. Ci chiamano “le tre scimmiette”. Sì,  quelle della famosa rappresentazione,  “non vedo, non sento, non parlo”.
La vita ci passa davanti, calma e tranquilla con il suo lento trascorrere lungo la strada come l’acqua del Tevere che scorre qui vicino. Così come il fiume, che ha i suoi periodi di secca, e l’acqua sembra non aver voglia di procedere verso il mare, anche la vita  a volte sembra ristagnare, impaludarsi nelle storie quotidiane. Ma nessun periodo di magra dura tanto a lungo da non essere poi seguito da uno di piena.           
La vita ci passa davanti, dicevo. Noi la guardiamo, oppure la ascoltiamo,  la annusiamo, la tocchiamo. Ognuno usando i sensi superstiti.
Le immagini, i suoni e gli odori che stiamo percependo da un po’ di tempo lasciano presagire che la piena sia già cominciata. Non parlo di quello che trasmette la televisione. Lasciatela stare, altrimenti oltre all’uso dei sensi perderete anche quello della ragione. Comunque, se proprio dovete ascoltarla, prendetela per quello che è: un mezzo di trasmissione di immagini e suoni che sono stati elaborati da altri per diffondere un messaggio. Il loro messaggio. No, sto parlando di sensazioni avvertite per strada, di parole non più udite da moltissimo tempo, di immagini che sanno di dejà vu, di tramestii sotterranei, di effluvi nauseabondi.
La vita ci passa davanti, e non sembra far caso a tre vecchietti decrepiti che si confondono con il grigio dell’asfalto. Può capitare allora di vedere dei colori mescolarsi con altri, di ascoltare messaggi in codice che tutto può sembrare tranne che incomprensibile, per chi ha vissuto certi anni.
A proposito di una sua celebre commedia Pirandello diceva “Chi ha capito il giuoco non riesce più a ingannarsi, non può più prendere né gusto né piacere alla vita”. Così, davanti a noi, su quel grande palcoscenico che è la strada, si dispiega il gioco delle parti, pertanto chi è non è chi dovrebbe essere, e viceversa. Ma questo è un gioco antico, e noi, appunto, l’abbiamo capito.
Succede, inoltre, come recita l’adagio gattopardesco che si cambi tutto perché nulla sia mutato, e allora si riesce a comprendere meglio il perché di taluni avvenimenti guardando il fine e non il mezzo, analizzando insomma quali siano state le conseguenze di certi accadimenti, del motivo infine per cui alcune cose sono avvenute.  Dovevano avvenire perché si potessero intraprendere certi provvedimenti. Se le piazze e le vie delle nostre città saranno ridotte in condizioni tali che nemmeno la Beirut degli anni ‘settanta si era permessa di mostrare, vorrà dire che saranno fatti da archiviare alla voce “effetti collaterali”.
Noi comunque rimaniamo qui, al nostro posto. Ci sia consentita un’ultima considerazione. Le tre scimmiette originarie vengono definite “le scimmie sagge” perché suggeriscono di non vedere, ascoltare e parlare. 
Del male.
Non è il nostro caso.
 

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