Scritto da © nunzio campanelli - Ven, 05/10/2012 - 14:32
Presi tre bus diversi per raggiungere la mia destinazione. Abito ai margini della città, in periferia, in uno di quei palazzoni anonimi che cominciano a cadere a pezzi prima ancora di essere ultimati e che sembrano tutti uguali. Scesa all’ultima fermata, feci un lungo tratto a piedi finché arrivai davanti all’indirizzo che stavo cercando. “Che cazzo di posto. Sembra casa mia.” Pensai. Avevo attraversato l’intera città, per trovarmi in un luogo simile a quello in cui vivo.
Superata una scalinata entrai in un vasto e solitario ambiente, arredato con poltrone e tavoli con sedie. Alle pareti delle grandi stampe che riproducevano pubblicità di vecchi film. Mi sedetti a un tavolo e per calmare in parte l’evidente nervosismo di cui ero preda, tirai fuori dalle tasche una lettera che avevo già letto almeno una decina di volte. Come grani di un rosario in breve tempo entrarono in quella sala altre persone. Qualcuno si accomodò in poltrona, qualche altro si accontentò di una sedia o rimase in piedi a passeggiare.
Un uomo mi si avvicinò.
- Strano, vero? –
Il suono di quelle parole, così vicino, mi fece trasalire.
- Come dici? –
- Scusa. No, dico, strano quel foglio.-
- Quanti anni hai?-
- Come?-
- La domanda mi sembra chiara.-
- Trentacinque. Perché?-
- No, niente. Mi piace conoscere l’età di quelli con cui parlo.
- Scusa, dicevo tanto per dire.-
Replicò l’uomo mentre si allontanava.
- È un test. Dai, torna qui. Lo faccio sempre agli uomini che non conosco.-
- Interessante. E… l’ho superato?-
- Visto che ancora sei qui. Di solito mi capitano cinquantenni che dicono di averne trenta. Mi diverto a sputtanarli. Odio la falsità. A vent’anni me lo posso concedere. No? Penso che tu hai proprio l’età che hai detto. Grazie per la sincerità. Ciao, Giovanna. –
- Ciao. Marco. Certo che sei strana te, eh?-
- Tutto strano per te. Anche questa lettera. Che c’è di strano? Inaugurano una nuova sala cinematografica, hanno invitato un po’ di persone per l’apertura. Tutto qui. –
- C’è che non mi era mai capitato di essere invitato e di venire anche pagato per il disturbo.-
- Nessuno ti ha obbligato, mi pare. -
- Mi servono quei soldi. –
- Anche a me. E non ci sputo sopra a duecentocinquanta euro. Sai che ti dico? Mi sono guardata intorno anch’io, e penso che siamo tutti della stessa razza! Ma non me ne frega niente, l’importante è che tirino fuori i soldi.-
- Stessa razza? Vuoi dire del genere disoccupato stabile con tendenza alla cronicità?-
- Beh… più o meno. Hai del fumo?-
- No, mi dispiace.-
- Anche a me.-
- Sai che cosa ci faranno vedere?
- No, ma a me del film non importa niente. Presi i soldi, io me ne vado. –
- Non credo che sarà così facile. –
- Che vuoi dire? –
- Che sicuramente visto che ci pagano avranno interesse che guardiamo questo cazzo di film. Quindi…-
Un rumore metallico interruppe la nostra conversazione. Una serranda si stava sollevando. Aspettammo che la saracinesca fosse completamente aperta, poi dopo esserci guardati in faccia, con un certo timore che derivava in gran parte dall’assenza di personale al quale poter richiedere delle informazioni, entrammo in un breve corridoio che immetteva in una seconda sala delle stesse dimensioni dell’altra, presto seguiti dagli altri. Una voce femminile proveniente da invisibili altoparlanti avvertiva.
- Potrete accedere alla sala di proiezione entro pochi minuti. Siete pregati di avvicinarvi alla porta di colore blu, una volta entrati troverete alla vostra destra delle buste, una per ognuno di voi, contenenti un foglio e un assegno. Sul foglio sono riportate le istruzioni, che vi raccomandiamo di leggere attentamente.-
Proprio in quel momento la porta blu si aprì, lasciando intravedere un corridoio dalle pareti scure, debolmente illuminato da alcune lampade a soffitto. Tutti si riversarono dentro quell’andito rumoreggiando. Tranne uno. Tra i primi a entrare, tornai indietro. Marco stava immobile in mezzo al corridoio, un po’ arretrato rispetto alla porta. Lo chiamai, sollecitandolo.
- Dai entra anche tu. Scusa se prima ti ho preso un po’ in giro, ma è il mio modo per non mostrare che ho paura. Se vieni anche tu ne avrò di meno. –
- Esci.-
Impallidii. Lo sguardo di Marco mi oltrepassava per posarsi in un punto all’interno della sala di proiezione. Mentre Marco continuava a chiedermi di uscire, mi voltai. Fu allora che la vidi. Proprio in quel momento afferrarmi con forza la mano, mentre la porta si stava richiudendo. Finii addosso a Marco per poi cadere a terra insieme a lui.
- Che cazzo fai!-
Più impaurita che arrabbiata mi alzai da terra urlando.
- Le buste con i soldi! Erano lì, poco più avanti. Se non c’eri tu adesso li avevo in
tasca. Sei un…o stronzo. Sì, un porco stronzo di merda!-
In effetti ero anche abbastanza arrabbiata. Marco stava guardando la stanza in cui ci trovavamo, poco interessato ai miei sfoghi verbali. La serranda metallica era stata abbassata, e non c’erano altre vie di uscita. Dopo il rapido giro d’ispezione i suoi occhi si soffermarono sui miei. Prese una specie di biglietto dalle tasche e me lo porse. Era un tagliando, dove c’era scritto “Buono del valore di duecentocinquanta euro” seguito da una descrizione in piccoli caratteri delle modalità di riscossione.
- Non c’erano soldi nelle buste ma questi!-
Letto il tagliando ne feci una pallina di carta e che gettai a terra, guardando in faccia Marco.
- Chi sei, eh? Una specie di poliziotto? Mi vuoi fregare anche tu, come tutti quelli che ho incontrato finora.-
Mi sedetti in terra con la schiena appoggiata al muro. Stavo tremando. Marco si mise al mio fianco, io mi scostai un poco, per evitare il contatto fisico. Con il capo chino retto dalle mani, le braccia poggianti sulle ginocchia, il viso nascosto tra i miei capelli, avevo assunto la mia posa da “pensiero”.
- È per quella donna, vero? –
Lui non rispose, ma smise di guardare in giro e concentrò l’attenzione su di me.
- Non mi hai fatto entrare perché c’era lei. Ho visto come la guardavi. E ho visto
come ti guardava lei.-
Restammo in silenzio. Avevo posto una domanda alla quale avevo risposto da sola. Lui continuava a non parlare. In quel momento iniziarono i rumori. Sembravano provenire dall’interno della sala di proiezione. Erano come clamori di folla. Clamori che stavano diventando urla.
- Hanno iniziato.-
Questa voltai provai paura e mi avvicinai a Marco cercandone il contatto fisico.
- Cosa hanno iniziato, chi? –
- Stimolazioni mentali con lampi di luce ad alta intensità. –
Non parlavo ma gli chiedevo con gli occhi di andare avanti.
- Senti, questi sono pericolosi, rappresentano enormi interessi, controllano tutto e possono far tutto. Per quei poveri disgraziati che sono entrati ormai non possiamo fare più niente. –
- Come niente. Chiama la polizia, avrai almeno un cazzo di cellulare.-
- Sarebbe inutile, anzi pericoloso. Tutte le chiamate di emergenza vengono vagliate da un centro di ascolto.-
- Non devi mica dire che stanno ammazzando delle persone. Inventati qualcosa,
dì che hai un infarto!-
- Non gli interessano le motivazioni, ma gli indirizzi. Ascoltami, almeno una volta. Devi andartene.-
- E come? Siamo chiusi dentro, mi sembra.-
- Sì, ma non per molto. Fra poco finiranno di torturare quella gente, le porte si apriranno in automatico. Qui non ci sono telecamere, solo dentro la sala. Loro sanno solo che mancano due persone. Solo noi, per adesso, sappiamo che siamo qui. Noi e…quella donna.-
Stava aspettando.
- Lei è… era mia moglie.-
La serranda metallica che chiudeva la stanza cominciò a sollevarsi. Contemporaneamente si aprì anche la porta blu.
- Vai. Presto, di corsa!-
- Vieni via con me. Carlo!-
- Non posso. Corri, Giovanna. Non andare a casa, fuggi, va’ via da qui. Loro sanno tutto di te. –
- Chi sono loro? –
- L’ho già detto. Non Lo So.-
Era riuscita a uscire in tempo da quel cinema. Aveva voluto chiamare la polizia, che arrivò subito. Si rese conto di aver sbagliato a non dar retta a Carlo quando arrivarono i primi agenti. Non erano normali agenti di polizia, avevano macchine e divise diverse dalle solite. Non la portarono in un normale commissariato, ma in una antica villa di campagna. La stavano interrogando da due giorni. Lei ripeteva sempre la stessa versione, ed era arrivata al limite di sopportazione. In un’altra stanza, due ufficiali, un uomo e una donna, stavano assistendo.
- Reggerà, ancora?-
- Sì, è forte.-
- Bene, ancora un po’ e sarà pronta per il trattamento definitivo. –
- Gli altri sono stati un disastro, vero?-
- Non sono riusciti ad arrivare nemmeno al terzo livello. –
- Lei è diversa. L’avevo notato subito.-
- Bene. Vado a vedere se sono pronti, in sala di trasmissione.-
- D’accordo. A dopo.-
- A dopo, Carlo.-
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