Era seduto sugli scalini di una scuola, oltre il loggiato aveva deposto in un sacchetto avvolto di stracci, tutte le sue cose. Indossava un cappotto logoro sopra altri panni che lo infagottava oltremodo. Barba e capelli bianchi, lunghi, sotto un basco unto e bisunto come i suoi panni. Lo sguardo vitreo e le mani serrate su una bottiglia di vino rosso.
Avevo appoggiato il piede sugli scalini e mentre allacciavo la scarpa...
- Vattene! via! questo posto è mio!-
i suoi occhi, la sua voce vomitavano odio, un odio feroce che non bastava tutta una vita per contenerlo.
E già Mario, sei stufo di giocare a rimpiattino con la vita, con quella schifosa che ti ha tradito, dai su, non pensarci, beviamoci sopra. Un bel sorso e poi vedrai che va meglio. Non pensare a quando eri ragazzo, a quando, quell'anno, ti eri laureato in ingegneria con 110 e lode. Eri felice e orgoglioso di te stesso, sorridevi, ricordi? eri corso a casa per festeggiare.
Tua madre era radiosa, anche se quella fastidiosa tosse continuava a perdurare, accompagnata da quella stridente febbriciattola. Erano passati alcuni giorni, poi la guardia medica aveva consigliato il ricovero. All'ospedale, il primario di ginecologia ti aveva convocato.
- Sua madre ha un tumore che si è sviluppato dalle ovaie. Le metastasi hanno già invaso tutto il peritoneo, tenterò di operarla, ma nelle condizioni in cui è ne avrà per sei mesi di vita, non di più.
Si era sbagliato Mario, tua madre, dopo numerose operazioni e cicli di chemioterapia, aveva superato i sei mesi, era morta dopo un anno.
Allora la vita ti si era stretta addosso di colpo, guardavi le pareti mute della casa cercando una presenza, un suono. Tuo padre era scomparso anni prima, i tuoi si erano separati, e di lui non avevi avuto più notizie. Erano passati mesi, avevi trovato lavoro in quell'industria e il tuo lavoro era diventato il sostituto della tua famiglia. Le tue capacità creative erano emerse e la tua carriera aveva spiccato un balzo in avanti. Avevano perfino brevettato una tua innovazione tecnica. E tu ora facevi il ricercatore.
La vita sembrava scorrere con nuovo ritmo sui tuoi binari. Anna l'avevi conosciuta durante una riunione con varie aziende che concorrevano al nuovo prototipo che stavi sviluppando: era una sinergia di risorse, per te presto diventata una sinergia d'amore. Vi eravate sposati, e l'anno dopo era nata la piccola Clara. Ma la bambina stentava a svezzarsi, correvi tra la farmacia e la tua abitazione portando latte in polvere e tettarelle per il biberon. Ma Clara vomitava il cibo e peggiorava. Anche all'ospedale, dopo il ricovero, non sapevano più che cosa fare, tutto sembrava a posto, ma la piccola stava spegnendosi.
E tu con lei. Urlavi di disperazione, mentre camminavi da casa all'ospedale, di disperazione e rabbia.
Certo Mario, la vita è un piano inclinato, si scivola sempre più giù, solamente i folli non cadono. Già, ma la follia tu dovevi ancora conoscerla. Era successo mesi dopo il funerale della piccola Clara. Anna era scivolata in un silenzio sempre più cupo, e tu in una abulia sempre più profonda. E la sera, quando tornavi dal lavoro, ti fermavi in quel bar per la tua dose di alcool. Avevi sostituito il cappuccino e cornetto del mattino con una generosa porzione di brandy.
Ti sembrava che in quel modo il dolore si inebetisse, si piegasse su se stesso, come un piccolo foglietto, simile a uno di quelli che a scuola passavi al vicino di banco durante il compito in classe di matematica, ma i numeri ora si stavano ribellando e le equazioni erano impazzite. Uscivano dai quadretti e il dolore diventava una spina che limava il cuore.
Litigavi con Anna tutte le sere. Il divano era diventato il tuo nuovo compagno notturno. Bevevi per farti forza, caro Mario, per rabbia, per disperazione. E la vita continuava a negarti il suo sorriso. Sul lavoro ti avevano affiancato un neolaureato, una nuova promessa, che ti seguiva come un'ombra. Tu non amavi le ombre, ma il sole, all'orizzonte, era ormai scomparso. Poi Anna se n'era andata. Avevi ricevuto l'avviso dal tribunale di presentarti per la separazione. Una nuova perla si era aggiunta alla collana che la vita ti aveva appeso al collo.
Un nuovo abbandono. Eri stufo, Mario, stufo marcio!
È stata quella sera che il pavimento ha iniziato a sollevarsi o la sera dopo? Lo vedevi che si ingobbiva, le piastrelle sembravano carte da gioco in mano a un prestigiatore.
Avevi spalancato la finestra, avevi bisogno di aria. I vicini, che da mesi ti evitavano, quella sera avevano sentito le tua urla che tagliavano il buio della notte.
Il repartino psichiatrico sembrava un imbuto senza fondo; ti avevano imbottito, per il tuo bene, così aveva detto il dottore, di psicofarmaci, e più che in un delirio ti sembrava di calcare il set di un film di vampiri, con la nebbia che avvolgeva tutto. O erano le cinture di costrizione che ti inchiodavano a letto?
Giorni dopo, molti colloqui dopo, avevi firmato ed eri uscito. Fuori ti sembrava di galleggiare, l'aria ti ubriacava, barcollavi.
Ti eri ritrovato in strada e su quella strada, che non sollevava il pavimento, ci stavi bene, veramente bene, Mario. Le panchine avevano sostituito il tuo letto. I cassonetti, i cestini, erano diventati caverne ricche di tesori.
La città era la tua isola misteriosa.
Quello che avevi te lo trascinavi dietro, avevi preso un carrello su un piazzale di un supermercato e quello era la tua roulotte, ti accompagnava fedele come un cane. E bevevi, l'inverno più che l'estate e su una panchina, avvolto da cartoni guardavi le stelle e pensavi: “ quelle non si spengono mai... “
Mario, ti hanno trovato un mattino di un inverno gelido, il più gelido degli ultimi 15 anni. Il tuo cuore si era fermato e il tuo sguardo era fisso verso il cielo. Nel tuo vecchio alloggio, sotto un materasso sformato, hanno trovato banconote per 20 milioni di lire e, tra i sacchetti ammucchiati e le bottiglie vuote, scatole e scatole piene di tettarelle per biberon.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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