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Papalina

 
PAPALINA
 
Quando ero piccola, mio padre possedeva un vecchio cavallo che si chiamava Papalina, perché era bianco come il cappellino che indossa il Papa.
Ma questo l’ho capito da grande, perché allora  pensavo che quel nome significasse: cavallo che appartiene a papà.
Con lei protagonista, il papà mi raccontava spesso una storia piena di suspance:
 
  - Un giorno – mi diceva - la portai a cavalcare sulla spiaggia. All’improvviso, come richiamata da una forza misteriosa, Papalina con me in groppa, entrò in acqua. All’inizio fui ben felice, perché stava facendo un caldo che spaccava le pietre, ma a un certo punto, siccome non sapevo nuotare, cominciai a disperarmi, perché,  nonostante cercassi con le redini di farla tornare indietro, lei si allontanava sempre di più. Si allontanò così tanto che ormai i miei occhi vedevano solo l’azzurro del  mare.
M’aggrappai allora al suo collo e cominciai a parlarle:
Prima dolcemente:
-Torna indietro e ti darò doppia razione di carrube -. Ma lei: niente!
- Torna indietro e ti farò correre il palio di Siena – . Ma lei: niente!
- Torna indietro e ti farò recitare in un film di indiani e cowboy –.  Ma lei: niente! Si allontanava sempre di più.
Pensai allora di minacciarla:
- Torna indietro o ti farò mangiare dalla mosca cavallina –. Ma lei: niente!
 
Allora cominciai ad urlare, sempre inutilmente: - Aiuuuuuuuuuto! –.
Mi salì la febbre e mi vennero le allucinazioni sotto forma di squali e pirati con l’uncino.
Finché all’improvviso,  quando ormai mi ero rassegnato a morire, Papalina fece dietro front e comoda, comoda, ritornò a riva -.
Papà chiudeva sempre la storia dicendo: - Per me quella fu una grande lezione. E già! –.
 
Erano trascorsi più di cinquant’anni da quella storia, il giorno che  mi trovavo in spiaggia e un’onda anomala avvicinò al mio asciugamano uno straccio bianco, tutto pieno di incrostazioni di salsedine e con tante palline di alghe impigliate nelle sfilacciature. A me venne subito in mente il mantello di Papalina.
Raccolsi lo straccio e, arrivata a casa,  lo usai per costruire un cavallino di canna, che in un angolo della casa  mi sorride sempre, con un pennacchio in testa e con le narici fumanti.
 

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