Scritto da © Mariagrazia Dessi - Lun, 24/08/2015 - 10:49
Cara Suor Francesca,
per abitudine comincio così, perché ora ti sento solo come Francesca, la sorella di Assunta, che vorrei stringere in un abbraccio affettuoso, per consolarti e farmi consolare.
Sappi che in questi ultimi tempi ti ho portato, con il pensiero, nei luoghi, dove, sono sicura, saresti voluta essere presente e dove, comunque, è giunta benefica la tua preghiera, perché, credimi, nella sofferenza di Assunta non ho mai visto disperazione.
All’ospedale e poi a casa della figlia, tua nipote Maria, dove sono andata spesso a trovarla, ormai in fase terminale, ha avuto sempre la forza di manifestarmi la sua gentilezza e il suo affetto.
Cara Francesca, idealmente ti ho prestato i miei passi anche ieri, accompagnandola all’ultima tappa, in una giornata piena di luce e profumi, da sembrare quasi di primavera e anche di festa, quella del patrono, se ripenso alla lunghissima processione di gente, non solo di paese.
Di lei mi è rimasto un bellissimo dono: un sacco di lino a strisce grigie e panna, tessuto al telaio; uno dei sei che tua madre aveva portato con il corredo da sposa e che tuo padre caricava sul dorso dell'asino, dopo averlo riempito di grano. Me lo regalò per aiutarmi a risolvere problemi di spazio nella mia casetta. Mi disse: «Vedrai, ci stanno tante cose e darà un tocco di originalità al tuo arredamento. Ed io me ne andrò con l’anima in pace, sapendo che è finito in buone mani. Negli angoli sono rimasti alcuni chicchi, mi raccomando non buttarli».
Di quei chicchi uno me lo tengo e gli altri te li spedisco, così potrai preparare un vasetto di “nenniri”, da collocare ai piedi della croce di Gesù il giorno del Venerdì Santo.
Così in quel sacco, dove c’è di tutto e di più, potrò custodire sempre anche l’ultimo quadro che voglio farmi di lei: bellissima con i capelli al vento, rincorrendo maggio in un campo di grano e papaveri.
Ti abbraccio forte, forte
Gra’
per abitudine comincio così, perché ora ti sento solo come Francesca, la sorella di Assunta, che vorrei stringere in un abbraccio affettuoso, per consolarti e farmi consolare.
Sappi che in questi ultimi tempi ti ho portato, con il pensiero, nei luoghi, dove, sono sicura, saresti voluta essere presente e dove, comunque, è giunta benefica la tua preghiera, perché, credimi, nella sofferenza di Assunta non ho mai visto disperazione.
All’ospedale e poi a casa della figlia, tua nipote Maria, dove sono andata spesso a trovarla, ormai in fase terminale, ha avuto sempre la forza di manifestarmi la sua gentilezza e il suo affetto.
Cara Francesca, idealmente ti ho prestato i miei passi anche ieri, accompagnandola all’ultima tappa, in una giornata piena di luce e profumi, da sembrare quasi di primavera e anche di festa, quella del patrono, se ripenso alla lunghissima processione di gente, non solo di paese.
Di lei mi è rimasto un bellissimo dono: un sacco di lino a strisce grigie e panna, tessuto al telaio; uno dei sei che tua madre aveva portato con il corredo da sposa e che tuo padre caricava sul dorso dell'asino, dopo averlo riempito di grano. Me lo regalò per aiutarmi a risolvere problemi di spazio nella mia casetta. Mi disse: «Vedrai, ci stanno tante cose e darà un tocco di originalità al tuo arredamento. Ed io me ne andrò con l’anima in pace, sapendo che è finito in buone mani. Negli angoli sono rimasti alcuni chicchi, mi raccomando non buttarli».
Di quei chicchi uno me lo tengo e gli altri te li spedisco, così potrai preparare un vasetto di “nenniri”, da collocare ai piedi della croce di Gesù il giorno del Venerdì Santo.
Così in quel sacco, dove c’è di tutto e di più, potrò custodire sempre anche l’ultimo quadro che voglio farmi di lei: bellissima con i capelli al vento, rincorrendo maggio in un campo di grano e papaveri.
Ti abbraccio forte, forte
Gra’
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