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Prologo

Mentre lenisce di pomate il corpo del reato, Vaghessa sta cercando di dare un nome proprio all'ispido, quando glielo disse era da poco passato uno sciame di mojitos, che l'aveva lasciata incantata al vizio dello sguardo, le orecchie le aveva usate per portare i bassi nei pressi dell'inguine, non avevano colto nessun senso che non fosse doppio e il nome non era tra questi.
«Giongio... Gianco... Giullio... no, Giangicomo, sì, detto Giungio»
Il dolore del corpo, a sentire il nome ha una recrudescenza, si sente un «Mai più» rimbalzante di echi, pervenire e villeggiare nella parte dietro della scatola cranica, ma mente, già il jojoba sulla pelle rimanda alla «Attesa» non passerà molto che tutto questo diventerà un nuovo limite da cui ripartire. Vaghessa però è in vena di crucci, un altro spunta dal recondito di quel qualcosa che era stato fatto, ma pure ad ansimi detto, un concetto espresso, che ha destato l'attenzione, una domanda e una promessa, le uniche frasi ripronunciabili in pubblico, ma cosa era stato promesso? e da chi? questo non lo ricordava, ricordava il resto del discorso, preso pari pari da XXX Foto timideh... globalizzazione, pensa e intanto ricorda il precedente, ancora illibato dalle libagioni, forse da là può sbandolare la matassa, quando le sue snelle e abbronzate gambe, penzolavano come esche dal bordo dello sgabello, il suo sguardo era tutto nelle periferie e tutto era ancora da diventare. Era entrato dal bordo destro del suo sguardo, l'ispido, l'aveva spogliata, fotografata e rivestita, una ventina di pose in tutto, lei aveva roteato di un tanto lo sgabello, per dargli i tre quarti delle fototessere e sbatteva le palpebre ad ogni flash, intanto lui tirava fuori il canovaccio, dava una spolverata al suo fascino, struttura e improvvisa azione, il banco si riempì di eleganti calici, la testa di lei di fumi, la partita in corso aveva una posta già alta e loro continuavano a rilanciare, si fermò lui, per una sorta di poco convenzionale cavalleria, ma quando il tutto era già molto, fu allora che mise quella postilla, quello che sembrava un poco di più rispetto al detto, quello che ora tormentava Vaghessa. Ora sapeva che la domanda era di Giungio e sua la risposta, ma a parte i brividi non ne cosceva altro contenuto, l'unico modo per venirne fuori, era scritto poco sotto il suo ombellico, dieci cifre da comporre, a una data ora
«La dolce morte»
Tornano alla mente queste parole, come moscerini intorno ai fumi del alcool, ora sa che quello che c'era stato era una prova e lei l'ha superata, l'ispido vuole qualcosa e lei è disposta a dargliela o meglio, quella che era il pomeriggio prima è disposta a dargliela
«Goffo, grasso, vecchio»
l'intruglio, l'imbroglio, passano dai mozziconi dei ricordi
«la canna del fucile, l'arnese»
è successo molto di più di quanto si possa vergognare, quindi non le resta pudore, solo un numero da comporre e un corpo da lenire.
Da qualche parte, più in là della decenza, Giungio si è rasato, ha riparato i danni alla meglio e guarda il corpo martoriato di Vaghessa, incosciente e nonostate ciò, dolente, legge la ruga sulla sua fronte, aveva appena perso i sensi e ancora gli rimordevano le frasi dette, il breve filmato scorre sul video e lui tira le somme, ancora poco e si vedrà di che tipo di pasta è fatta,
il telefono suona...

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