Scritto da © Marco valdo - Sab, 15/03/2014 - 11:01
Mi disse “sbrigati per tempo, che il tempo aspetta solo il tempo” e avrebbe potuto terminare così, senza strafare, ma aveva la mania del post, non gli sembrava mai abbastanza pregno il minimo senso, pensava sempre alle stellette, bisognava ridondare significato
“e il tempo si chiude nelle rughe del dolore, dove scivolano le lacrime del rimpianto”
Ecco, adesso era soddisfatta, infatti cominciava a strusciarsi la mano sinistra sull'incavo dell'inguine, come fosse la mia, che fulminato da tale profonda vacuità, non vedeva l'ora di possedere l'utero di tale cervello, si volse a me come fossi veramente l'attore, offesa dall'impudenza, voleva la sequenza nipponica e l'incavo dell'inguine era il penultimo approdo, ma questa mia interposta impazienza, le solleticava l'orgoglio, un maschio arrapato dalla profondità delle sue parole.
Era vero, tutto il vero delle ipotesi, non mi faceva ormai più esistere in carne, se non quando terminata la liturgia, aveva necessità di un corpo, allora cominciavo ad accarezzarle le braccia, una per volta, per almeno sedici secondi, poi vicino alle ginocchia e via tutta la trafila manga, hentai, con l'insopportabile sequela di acuti gridolini e più bassi spasimi; Dovevo essere preciso come il testo che aveva in testa, senza farmi distrarre dai flash dei selfie, come un ginnasta dalla vita parallela, dovevo aggiungere un nuovo numero ad ogni prestazione, mantenendo alto il livello degli standard.
Il miracolo di una tensione, minata dai tagli di scena, dai fermo immagine, fortunatamente non esisteva il pensiero del suo orgasmo, che vagava per i suoi labirinti, sarebbe giunto in maniera autonoma, in coincidenza con il mio, come due treni in binari affiancati.
Mi lasciò un giorno, in contemporanea su tutti i suoi profili, nel controsenso dei like
“ Lasciarsi, per restare sempre insieme, per fermare il tempo al tempo del nostro amore, con il cuore a fare da testimone”
Scrisse, con la mano sinistra nell'incavo dell'inguine.
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