Tutto cominciò con un paio di stringhe da scarpe, marroni, sottili, arrotondate.
Naturalmente, anch'io, come gli altri ragazzi della scuola, la guardavo, valutavo i suoi seni, che apparivano sodi sotto la blusa accollata, ammiravo le sue lunghe gambe, forti, ma armoniose, con le quali aveva vinto la gara di salto in lungo femminile. Ma più di tutto mi piaceva la sua pelle, tenuemente rosa, con lentiggini sparse, e profumata naturalmente, come quella di un bebé di sei mesi. Bastava starle ben vicino, per sentirlo, quel leggero, delicato profumo.
Gli altri ragazzi le ronzavano sempre intorno - lei era certo la ragazza più bella ed interessante fra quelle che frequentavano il liceo - e lei domava i loro bollenti spiriti con la freschezza del suo sorriso luminoso. Io invece, me ne stavo un po' in disparte, non mi sono mai piaciuti i posti affollati, e l'ammiravo da lontano. Ogni tanto ci capitava di scambiare qualche parola, specie durante le lezioni di francese, che avevamo in comune, benché io frequentassi il liceo scientifico, lei il classico. Sedevo nel banco dietro a lei, dove ogni tanto mi raggiungeva un alito del profumo della sua pelle.
Ma per il resto, le stavo appunto distante, forse per timidezza, più probabilmente per insicurezza.
Poi arrivò il giorno delle stringhe.
Come quasi sempre accade, è la donna che sceglie l'uomo che la sceglierà; meglio ancora, sono spesso le donne che fanno il passo determinante perché una possibile storia abbia inizio.
Quel giorno, erano circa le otto e un quarto di un bel mattino soleggiato, eravamo quasi tutti fuori della scuola, in attesa del suono della campanella che chiamasse alla prima ora di lezione, quando la vidi staccarsi dalla nube di corteggiatori che come sempre l'avvolgeva, e venire verso di me sorridendo. Non era mai successo prima.
"Ciao, Francesco, come stai?" mi chiese.
"Ciao, Valeria, bene, grazie, e tu?"
"Senti, non ti offendere, ti ho comprato queste" e mi porse un paio di stringhe da scarpe, marroni, sottili, arrotondate.
La guardai interrogativamente, senza capire bene cosa stesse succedendo.
"È un po' che ho notato che le stringhe delle tue scarpe sono tutte rotte, penso che fai fatica persino a fare il nodo, e non è bello da vedere. Così ieri sono passata dal calzolaio e te ne ho comprato un paio. Voi ragazzi siete un po' pigri per queste cose!", mi disse ancora, sorridendo e continuando a porgermi le stringhe.
Io le presi e non sapevo cosa dire; non sapevo se sentirmi umiliato per essere stato colto in peccato di sciatteria, o se essere esaltato per il fatto che lei mi avesse guardato con particolare attenzione e pensato a me, andando a comprare quelle stringhe, che ora stringevo nella mano.
"Non me le devi pagare", aggiunse, sempre più sorridente,"magari sabato m'inviti a prendere un tè in pasticceria"
Sono passati ormai più di venticinque anni da quella mattina. Abbiamo avuto due figli, ed oggi il primogenito, che fa anche lui il liceo scientifico, era raggiante: pare che la brunetta che gli piace tanto gli abbia portato un CD, da mettere su quando fa i compiti.
Se tanto mi dà tanto...
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