Scritto da © Bruno Amore - Mar, 27/09/2011 - 15:03
Timorosa ma non timida. Era stata tirata su in una famiglia povera ma dignitosa, coi cosiddetti principi sani, il rispetto delle gerarchie, della religione, della proprietà, dell'onestà tanto che l'essere poveri o ricchi era una questione di destino, senza pensare che quello toccato loro non lo avevano meritato e accettavano che qualcuno, lassù, aveva deciso così. Erano tanti in casa, il lavoro del capofamiglia saltuario e stagionale, com'era per i braccianti agricoli di allora. Fortuna che lei aveva fatto tre classi elementari e poté essere mandata a servizio dalla Signora Padrona, dove oltre a stare benissimo aveva l'opportunità di vedere cose “dell'altromondo”. Si portava a casa le riviste patinate destinate al cestino e ci si perdeva, alla poca luce del lume a petrolio, nel guardare e leggere delle belle signore di città. Ritagliava quelle che a suo gusto apparivano brillanti e spregiudicate, per quanto ne potesse sapere di queste cose laggiù in campagna, ma era l'espressione scanzonata delle modelle che l'affascinava e faceva sognare. Sognare si, più che altro. E leggeva, afferrando poco, tutto quello che poteva da quelle riviste. Crebbe così, un po' svagata, sempre con la testa nelle nuvole ma seria e laboriosa, tanto da meritarsi gli apprezzamenti dei vicini. Una che sgobba, dicevano, Ragazze così fanno la fortuna delle famiglie, e via stimando.
Diciottenne, andò in sposa al garzone del fattore. Un bel giovanottone, gioviale ma con quel difetto che in campagna si chiama “male alle ascelle”: scansafatiche, insomma. Così tra una gravidanza e il continuo lavoro dei campi in soccorso al marito e quelli di casa, dall'alba a notte, si consumava come una candela di sego, ma mostrava sempre una scanzonata voglia di vivere. Era stimolante per i figli, che in dodici anni ne aveva scodellati quattro, così in scala che parevano fatti su misura per passarsi gli abiti smessi senza destare sospetti. Li incitava, maschi e femmine, due e due, ad impegnarsi e leggere tanto.
Ottenne in regalo dalla Signora Padrona, un sussidiario vecchio e stropicciato che leggeva e faceva leggere loro prima di addormentarsi. Sempre lo stesso testo, dalla prima all'ultima pagina, e poi daccapo. La Signora, in quell'occasione, innocentemente o incoscientemente, visto che lei durante i lavori di pulizia lo strusciava a lungo fantasticandoci su, le regalò uno di quei porcellini di terracotta che nelle famiglie bene, si regalano ai ragazzi per avvezzarli al risparmio. Così si abitueranno a mettere da parte qualche soldino per il futuro, incalzò la gentildonna.
Una volta a casa lo poggiò sulla madia, indifferente al sarcastico commento del marito circa la possibilità di riempirlo, eppure...ogni tanto... Ma cosa ci metti qui dentro, disse lui un giorno scuotendo il salvadanaio, Ti vedo metterci qualcosa, ma non si sente suonare nulla. Sembra che ci sia della carta, dentro! E lei, ridendo, Ci metto i soldi di carta, anche pezzi grossi, così quando muoio l'aprite e sarete tutti ricchi. Ridacchiarono tutti. Qualche banconota la vedevano passare dalle mani del fattore alle loro e poi a quelle dei creditori, niente di più che qualcuna di piccolo taglio restava dal salario settimanale e non raggiungeva il sabato successivo.
Lui cadde da una pianta che stava potando e si ruppe la schiena in modo drammatico, tanto che rimase inabile a qualsiasi lavoro davvero remunerativo. Superata la convalescenza a fatica, riuscivano a spostarlo dal letto alla sedia ed ormai la rassegnazione aveva sostituito il dolore per l'accaduto e quando lui si lagnava che per il troppo lavoro si era reso invalido, lei sempre sorridente: Che vuoi di più, adesso puoi lavorare da seduto, come quelli degli uffici, magari potessi io.
Ora intrecciava canestri e cesti con i vimini che lei portava a casa dai campi. L'aveva sostituito in tutti i lavori che gli richiedevano ben sapendo, i committenti, che lui non avrebbe potuto farli e che lei, si accollava ogni peso. Era il pilastro fondamentale della famiglia. Quando riscuoteva il salario, faceva tanti mucchietti per quanti erano le cose da pagare e quello che restava, pochissimo, se lo infilava nella tasca del grembiule, dicendo sommessamente ma in modo che si sentisse, E cento. Invariabilmente sempre, E cento. Neppure i figli più grandicelli riuscirono mai a sorprenderla mentre metteva quel che metteva nel salvadanaio, curiosi di vedere e partecipare, in qualche modo, al rito virtuoso del risparmio e non riuscendoci mai il porcellino prese ad avere del misterioso, ma non azzardavano chiedere di più.
Il lavoro era faticoso e tanto, lei deperiva ogni giorno ma nessun lamento usciva dalla sua bocca. A sera, durante la magra cena, dividendo il cibo, a voce alta faceva il riassunto degli impegni del giorno dopo, Devo fare qui...Devo andare là...Rammendare i pantaloni del babbo...Mettere una pezza alla suola delle scarpe di Lisa, Mica può andare a scuola con le scarpe sfondate. Poi devo cambiare quella toppa sulla giacca del babbo, il verde chiaro sul velluto verde più scuro, non ci dice...E giù una risata, puntualizzando l'idea buffa della ragazzina con le scarpe bucate e il padre con la giacca a toppe colorate.
E cominciò anche ad avere un tosse sospetta, di quelle che una volta si diceva di polmoni. Sempre più pallida, occhiaie livide. Venne anche il medico condotto, scuoteva la testa mentre le diceva che non poteva andare avanti così e lei, Dottore come volete che faccia? Datemi qualcosa per tirarmi su, poi a primavera starò meglio, col caldo... Buona donna ci vuole altro, questa è una malattia grave. Ssssstt, non si faccia sentire, cosa vuole spaventare i ragazzi?
In una bella mattina di aprile, non si svegliò. Pallida ed emaciata, in una rigidità composta aveva una espressione serena, distesa, quasi un sorriso. Dopo le esequie, riuniti in casa, il marito stava leggendo la nota delle spese sostenute e da saldare per le necessità del funerale. Un tot al prete per la funzione, un tanto al necroforo per la bara e l'inumazione, i fiori, le candele... E chi ce l'ha tutti questi soldi? Ci vorrà un anno per metterli insieme ed io con le ceste... Voi, smetterete di andare a scuola e andrete al lavoro, quello che ha lasciato la mamma.
Papà, disse Lisa, Il salvadanaio. Ah! Già, prendilo.
Quel vecchio porcellino di terracotta fu messo sul tavolo e con un colpo mandato in frantumi. Nessuna moneta, ne uscirono centinaia di fagottini di carta ripiegata cinque sei volte. Non avevano l'aria di banconote, mancava il colore, se ne accorsero subito ma esibirono solo uno sguardo una, espressione interrogativa. Li aprirono uno per uno e Lisa lesse invariabilmente su tutti :
io sono stata e sono felice, rideteci su.
Timorosa ma non timida. Era stata tirata su in una famiglia povera ma dignitosa, coi cosiddetti principi sani, il rispetto delle gerarchie, della religione, della proprietà, dell'onestà tanto che l'essere poveri o ricchi era una questione di destino, senza pensare che quello toccato loro non lo avevano meritato e accettavano che qualcuno, lassù, aveva deciso così. Erano tanti in casa, il lavoro del capofamiglia saltuario e stagionale, com'era per i braccianti agricoli di allora. Fortuna che lei aveva fatto tre classi elementari e poté essere mandata a servizio dalla Signora Padrona, dove oltre a stare benissimo aveva l'opportunità di vedere cose “dell'altromondo”. Si portava a casa le riviste patinate destinate al cestino e ci si perdeva, alla poca luce del lume a petrolio, nel guardare e leggere delle belle signore di città. Ritagliava quelle che a suo gusto apparivano brillanti e spregiudicate, per quanto ne potesse sapere di queste cose laggiù in campagna, ma era l'espressione scanzonata delle modelle che l'affascinava e faceva sognare. Sognare si, più che altro. E leggeva, afferrando poco, tutto quello che poteva da quelle riviste. Crebbe così, un po' svagata, sempre con la testa nelle nuvole ma seria e laboriosa, tanto da meritarsi gli apprezzamenti dei vicini. Una che sgobba, dicevano, Ragazze così fanno la fortuna delle famiglie, e via stimando.
Diciottenne, andò in sposa al garzone del fattore. Un bel giovanottone, gioviale ma con quel difetto che in campagna si chiama “male alle ascelle”: scansafatiche, insomma. Così tra una gravidanza e il continuo lavoro dei campi in soccorso al marito e quelli di casa, dall'alba a notte, si consumava come una candela di sego, ma mostrava sempre una scanzonata voglia di vivere. Era stimolante per i figli, che in dodici anni ne aveva scodellati quattro, così in scala che parevano fatti su misura per passarsi gli abiti smessi senza destare sospetti. Li incitava, maschi e femmine, due e due, ad impegnarsi e leggere tanto.
Ottenne in regalo dalla Signora Padrona, un sussidiario vecchio e stropicciato che leggeva e faceva leggere loro prima di addormentarsi. Sempre lo stesso testo, dalla prima all'ultima pagina, e poi daccapo. La Signora, in quell'occasione, innocentemente o incoscientemente, visto che lei durante i lavori di pulizia lo strusciava a lungo fantasticandoci su, le regalò uno di quei porcellini di terracotta che nelle famiglie bene, si regalano ai ragazzi per avvezzarli al risparmio. Così si abitueranno a mettere da parte qualche soldino per il futuro, incalzò la gentildonna.
Una volta a casa lo poggiò sulla madia, indifferente al sarcastico commento del marito circa la possibilità di riempirlo, eppure...ogni tanto... Ma cosa ci metti qui dentro, disse lui un giorno scuotendo il salvadanaio, Ti vedo metterci qualcosa, ma non si sente suonare nulla. Sembra che ci sia della carta, dentro! E lei, ridendo, Ci metto i soldi di carta, anche pezzi grossi, così quando muoio l'aprite e sarete tutti ricchi. Ridacchiarono tutti. Qualche banconota la vedevano passare dalle mani del fattore alle loro e poi a quelle dei creditori, niente di più che qualcuna di piccolo taglio restava dal salario settimanale e non raggiungeva il sabato successivo.
Lui cadde da una pianta che stava potando e si ruppe la schiena in modo drammatico, tanto che rimase inabile a qualsiasi lavoro davvero remunerativo. Superata la convalescenza a fatica, riuscivano a spostarlo dal letto alla sedia ed ormai la rassegnazione aveva sostituito il dolore per l'accaduto e quando lui si lagnava che per il troppo lavoro si era reso invalido, lei sempre sorridente: Che vuoi di più, adesso puoi lavorare da seduto, come quelli degli uffici, magari potessi io.
Ora intrecciava canestri e cesti con i vimini che lei portava a casa dai campi. L'aveva sostituito in tutti i lavori che gli richiedevano ben sapendo, i committenti, che lui non avrebbe potuto farli e che lei, si accollava ogni peso. Era il pilastro fondamentale della famiglia. Quando riscuoteva il salario, faceva tanti mucchietti per quanti erano le cose da pagare e quello che restava, pochissimo, se lo infilava nella tasca del grembiule, dicendo sommessamente ma in modo che si sentisse, E cento. Invariabilmente sempre, E cento. Neppure i figli più grandicelli riuscirono mai a sorprenderla mentre metteva quel che metteva nel salvadanaio, curiosi di vedere e partecipare, in qualche modo, al rito virtuoso del risparmio e non riuscendoci mai il porcellino prese ad avere del misterioso, ma non azzardavano chiedere di più.
Il lavoro era faticoso e tanto, lei deperiva ogni giorno ma nessun lamento usciva dalla sua bocca. A sera, durante la magra cena, dividendo il cibo, a voce alta faceva il riassunto degli impegni del giorno dopo, Devo fare qui...Devo andare là...Rammendare i pantaloni del babbo...Mettere una pezza alla suola delle scarpe di Lisa, Mica può andare a scuola con le scarpe sfondate. Poi devo cambiare quella toppa sulla giacca del babbo, il verde chiaro sul velluto verde più scuro, non ci dice...E giù una risata, puntualizzando l'idea buffa della ragazzina con le scarpe bucate e il padre con la giacca a toppe colorate.
E cominciò anche ad avere un tosse sospetta, di quelle che una volta si diceva di polmoni. Sempre più pallida, occhiaie livide. Venne anche il medico condotto, scuoteva la testa mentre le diceva che non poteva andare avanti così e lei, Dottore come volete che faccia? Datemi qualcosa per tirarmi su, poi a primavera starò meglio, col caldo... Buona donna ci vuole altro, questa è una malattia grave. Ssssstt, non si faccia sentire, cosa vuole spaventare i ragazzi?
In una bella mattina di aprile, non si svegliò. Pallida ed emaciata, in una rigidità composta aveva una espressione serena, distesa, quasi un sorriso. Dopo le esequie, riuniti in casa, il marito stava leggendo la nota delle spese sostenute e da saldare per le necessità del funerale. Un tot al prete per la funzione, un tanto al necroforo per la bara e l'inumazione, i fiori, le candele... E chi ce l'ha tutti questi soldi? Ci vorrà un anno per metterli insieme ed io con le ceste... Voi, smetterete di andare a scuola e andrete al lavoro, quello che ha lasciato la mamma.
Papà, disse Lisa, Il salvadanaio. Ah! Già, prendilo.
Quel vecchio porcellino di terracotta fu messo sul tavolo e con un colpo mandato in frantumi. Nessuna moneta, ne uscirono centinaia di fagottini di carta ripiegata cinque sei volte. Non avevano l'aria di banconote, mancava il colore, se ne accorsero subito ma esibirono solo uno sguardo una, espressione interrogativa. Li aprirono uno per uno e Lisa lesse invariabilmente su tutti :
io sono stata e sono felice, rideteci su.
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