Scritto da © Bruno Amore - Sab, 23/01/2010 - 09:30
Era detenuto da quando le forze armate ONU erano riuscite a imporre un po’ di tregua in Serbia, più esattamente in Cossovo. Era stato un reparto di militari nordici ad arrestarlo, su segnalazione di un gruppo di donne, in un piccolo centro musulmano/cristiano, distrutto dalle milizie nazionaliste serbe. Alla periferia del villaggio esisteva, da secoli, una bellissima chiesa ortodossa con annesso convento di pochi frati e lì s’era rintanato e da lì fu stanato, su istigazione dei contadini che, a modo loro, intesero allontanare il pericolo che andavano affrontando. Periodicamente, nel corso della snervante sanguinosa guerra domestica, lui, faceva incursione nel villaggio, catturava ragazzi e specialmente bambini musulmani. Sempre solo, armato fino ai denti, sfrontato arrogante, che gli uomini abili del paese erano alla guerra o alla macchia. Neppure i frati del convento, intervenuti pietosamente, erano riusciti a fermarlo. Catturava i giovani maschi con la minaccia delle armi da fuoco, che aveva abbondanti, legava loro la mani dietro la schiena col fil di ferro, li portava nella legnaia del convento e, con un rito che aveva della follia, tagliava loro la gola, buttandoli poi sulla strada. Si faceva consegnare cibo e bevande, tornava nella boscaglia fino alla successiva razzia. Mai con commilitoni giovani o anziani, lui poteva avere vent’anni o poco più. Vestiva l’uniforme slava con insegne di reparto e grado, delle quali pareva fierissimo. Si era saputo di altre atrocità commesse dai serbi, stupri, mattanze di gruppi interi, sepolti poi in fosse comuni, anacronistiche rivendicazioni di sovranità perdute nel medio evo o ancor prima. E la componente religiosa a far da catalizzatore quando non possibile una motivazione più accessibile, specialmente alle popolazioni marginali dell’agricoltura e pastorizia tradizionale, più disponibili alla pacifica convivenza pratica, interreligiosa e interrazziale. Si chiamava Laslo: una cariatide assurda, solitaria e introversa, determinata a distruggere quelli che dalla propaganda politica erano stati indicati come figli del diavolo, oppressori, aggressori, anticristo e via delirando. Dagli interrogatori cui venne sottoposto emersero sconcertanti particolari sul suo addestramento, come ardito incursore. Completamente plagiato politicamente e moralmente, sentiva la sua missione altamente patriottica, liberatoria dall’odiato turco-albanese e mussulmano che calpestava la santa Serbia Cristiana. Dunque, perché i giovani maschi? perché non si riproducessero; perché quel modo barbaro di uccidere? perché sono dei maiali e così andavano uccisi, secondo l'usanza. Al campo scuola i giovani più promettenti facevano pratica su giovani porci. Gli animali venivano immobilizzati legandoli e poi gli aspiranti combattenti si ponevano a cavalcioni, con la sinistra afferravano saldamente il grugno alzandogli la testa e con la destra, armata di coltello affilato, con un colpo netto gli aprivano la gola, da guancia a guancia. Poi i porci finivano alla mensa truppa.
Pochi giorni dopo che lui apparisse nelle TV di mezzo mondo: ancora in uniforme, magro, capelli rossicci, approssimativamente tagliati corti, barba incolta, gli occhi azzurri, sbarrati, allucinati, increduli, neppure umani, ferini quasi; un parente chiese di poterlo vedere. Era il nonno materno, un contadino piegato dalla fatica più che dagli anni, fece giorni e giorni di anticamera, praticamente senza mangiare e senza raccogliere, meno che mai usare, le monete che i passanti buttavano ai suoi piedi sulla scalinata del palazzo sede del comando ONU. Quando gli interrogatori ebbero termine, il vecchio fu ammesso alla presenza del giovane e senza por tempo in mezzo, disse disperatamente : tua madre ha perduto tuo padre e tuo fratello un braccio ed una gamba, le tue sorelle non troveranno marito e i bambini... Io sono vecchio, chi penserà a noi ora? Gli occhi vitrei di Laslo sembrarono, un attimo, spegnersi, piegò appena un angolo della bocca, incomprensibile se un sorriso, forse compatimento, e si avviò muto per il corridoio, tra i carcerieri : piangendo.
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