Scritto da © Untel - Dom, 24/06/2012 - 23:35
Gli venne in mente
così vagamente
una novella di Balzac.
Se ne stava seduto nel vano di una finestra,
uno spettro nascosto dalle tende di voile
occhieggiate dai riflettori.
La luna era la stessa
e anche la neve si staccava dagli abeti
sbadata e pesante.
Nell’umidore della sala
la gente si muoveva come fanno le lancette del mondo
nello stesso istante.
C’era della musica e qualcuno che versava da bere
e mentre il marmo gli raggelava il sedere
si chiese se lo scempio del tempo
non fosse opera di suo Padre
e che la circostanza ha voluto che
cambiassero i merletti, le trine e le danze
nel sudore della pelle nuda
e la mussolina sui fianchi
in fili verniciati tra i glutei.
Qualcuno scendeva verticale sul pube come una striscia continua al centro della carreggiata.
Una striscia infinita fino al grande passo.
Si diceva che
se dio avesse avuto più testimoni e meno credenti
il tempo non avrebbe sedotto la mondanità volgarmente
quanto meno lui avrebbe avuto
una moralità più passionale.
Ma il terrore gli prese fin sopra le ali ecologiche.
C’era nel vano di un’altra finestra
sotto le tende di voile
un sedere sul parquet.
Fintamente oscurata una donna
in ginocchio contro un uomo, che le teneva la testa.
Nel palmo il senso virile del possesso.
Nella testa il senso meccanico del piacere.
E si ricordò che doveva fare la confessione.
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