Scritto da © Giuseppina Iannello - Gio, 07/06/2012 - 18:09
Il mio nome fu Camille, cui volli aggiungere Marie, per la salubrità dei luoghi, splendide marine che ispiravono i miei dipinti, generalmente realizzati dall'unione di tinte trasparenti, proprie dell'acquerello, con qualche pennellata di colore ad olio. Realizzai anche con i pastelli, sullo sfondo acquerellato, l'immagine più sentita, quella delle maternità. Il mio casato fu quello dei marchesi di Belamì. Erroneamente, sono passata alla storia col nome di Mary Cassatt.
Fui la più oltraggiata tra le autrici, che nelle proprie raccolte, si ispirarono alle tonalità morbide degli eclettici pittori dell'Impressionismo. A ferirmi, non furono gli Impressionisti, verso i quali nutrivo ammirazione... ma i loro adulatori.
Io amavo la grafica e il colore, ma non avevo conoscenze... Sapevo bene di esprimermi secondo le mie emozioni, ma succube della concezione edonica, per la quale, non è concesso al pubblico meno addottorato, sapersi esprimere, mi trovai nell'anomala condizione, di chi chiede un parere: non per sapere, ma per avere un attestato d'amicizia. Ero una giovinetta; intrattenevo gli "amici" di papà, mostrando i miei lavori... Ma mi persuasi presto che il mio interpellarli, equivaleva per loro ad una supplica... Di poter fare parte anch'io, di un mondo d'élite, che invece, detestavo. Ad ogni richiesta, mi sentivo anch'io: era come se manifestassi la mia estrema volontà: "Illustre gente, datemi un parere... ad ognuno di voi farò un regalo."
Il nome di Cassatt (cosa da nulla), non mi fu dato, non dall'ambiente dell'aristocrazia borghese, né dall'umile gente di provincia. Furono gli avanguardisti di maniera, ad affibbiarmelo, confinandomi tra le donne, che osavano avere velleità artistiche. Gli avanguardisti erano gruppi radicali, che si opponevano a qualsiasi manifestazione, dell'Io libero e pensante. Essi, come solevano definirsi furono la borghesia incipiente.
Io non ero una fanciulla estroversa, a parere di tutte quelle persone, che abitualmente andavano a trovare i miei genitori, sopratutto mio padre, ex Governatore di Giamaica. Quelle visite, in realtà, non erano per noi, ma per il nome della casta. Non ebbi amiche tra le mie coetanee e non chiesi di loro, perché sapevo ch'eran collegiali...
Alle ragazze "bene" non si addice, rimanere coi villici in paese. Mia sorella ed io rimanevamo invece, coi genitori... Ma emarginate dall'ambiente circostante. Fummo, senza ombra d'equivoci, una famiglia unita. Ma Edma era molto malata... E di me l'ambiente circostante, cominciò a farneticare, un'esistenza ben diversa, da quella che mi prospettavo.
Dopo la premessa, ritengo doveroso, informare, quanti mi videro in qualche raro dipinto e mi valorizzarono per le mie emozioni.
Fui Camille, figlia di Edmengarde e di Arthur Belamis.
Fui sempre unita, anche nelle avversità, a Edma, la mia unica sorella, handicappata fisicamente. Il diabete mellito le aveva compromesso un rene. Ma di mia sorella, parlerò più in là.
Vissi nell'ombra fino 15anni, sempre dietro alla mamma cui somigliavo emotivamente.
Fui la più oltraggiata tra le autrici, che nelle proprie raccolte, si ispirarono alle tonalità morbide degli eclettici pittori dell'Impressionismo. A ferirmi, non furono gli Impressionisti, verso i quali nutrivo ammirazione... ma i loro adulatori.
Io amavo la grafica e il colore, ma non avevo conoscenze... Sapevo bene di esprimermi secondo le mie emozioni, ma succube della concezione edonica, per la quale, non è concesso al pubblico meno addottorato, sapersi esprimere, mi trovai nell'anomala condizione, di chi chiede un parere: non per sapere, ma per avere un attestato d'amicizia. Ero una giovinetta; intrattenevo gli "amici" di papà, mostrando i miei lavori... Ma mi persuasi presto che il mio interpellarli, equivaleva per loro ad una supplica... Di poter fare parte anch'io, di un mondo d'élite, che invece, detestavo. Ad ogni richiesta, mi sentivo anch'io: era come se manifestassi la mia estrema volontà: "Illustre gente, datemi un parere... ad ognuno di voi farò un regalo."
Il nome di Cassatt (cosa da nulla), non mi fu dato, non dall'ambiente dell'aristocrazia borghese, né dall'umile gente di provincia. Furono gli avanguardisti di maniera, ad affibbiarmelo, confinandomi tra le donne, che osavano avere velleità artistiche. Gli avanguardisti erano gruppi radicali, che si opponevano a qualsiasi manifestazione, dell'Io libero e pensante. Essi, come solevano definirsi furono la borghesia incipiente.
Io non ero una fanciulla estroversa, a parere di tutte quelle persone, che abitualmente andavano a trovare i miei genitori, sopratutto mio padre, ex Governatore di Giamaica. Quelle visite, in realtà, non erano per noi, ma per il nome della casta. Non ebbi amiche tra le mie coetanee e non chiesi di loro, perché sapevo ch'eran collegiali...
Alle ragazze "bene" non si addice, rimanere coi villici in paese. Mia sorella ed io rimanevamo invece, coi genitori... Ma emarginate dall'ambiente circostante. Fummo, senza ombra d'equivoci, una famiglia unita. Ma Edma era molto malata... E di me l'ambiente circostante, cominciò a farneticare, un'esistenza ben diversa, da quella che mi prospettavo.
Dopo la premessa, ritengo doveroso, informare, quanti mi videro in qualche raro dipinto e mi valorizzarono per le mie emozioni.
Fui Camille, figlia di Edmengarde e di Arthur Belamis.
Fui sempre unita, anche nelle avversità, a Edma, la mia unica sorella, handicappata fisicamente. Il diabete mellito le aveva compromesso un rene. Ma di mia sorella, parlerò più in là.
Vissi nell'ombra fino 15anni, sempre dietro alla mamma cui somigliavo emotivamente.
*continua*
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