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La Poesia di Rimbaud - Appunti

pubblico, sperando in un vostro esame critico, e serrato, la prima parte della recensione promessa. spero, inoltre, che mi perdoniate i vari errori che sicuramente vi saranno; in cambio, farò di tutto per correggerli prima della definitiva stesura.
grazie
 

Contrariamente a quel che potrebbe pensarsi in un primo momento, a ben guardare, in termini logici, la poesia di Baudelaire, precursore del Simbolismo francese cui Rimbaud sembra appartenere di diritto, non arreca alcuna novità rispetto al pensiero classico greco.

Se il pensiero logico fosse la dominante del messaggio poetico baudleriano, quindi se dovessimo guardare questo Poeta dal punto di vista di apportatore o meno di novità di ragionamenti ulteriori, per così dire di scatti induttivi sfocianti, attraverso lo sforzo intellettivo, nello scoprimento di altri elementi nell’origine, nell’essenza del punto geometrico, dello zero dell’esistenza, scopriremmo che Eraclito ha detto molto più incisivamente, in un suo frammento di circa due millenni e mezzo prima, ciò che Baudelaire profonde in tutti i suoi componimenti.

Cioè : “la via in salita e in discesa è un’unica cosa”.

Ben più estensivamente, era poi intervenuto Hegel, a riprendere.

Basterebbe, a dimostrazione di quanto appena detto, l’esordio della sua Storia della filosofia, dove il filosofo svevo ci introduce al pensiero metafora del “germoglio”.

L’esistenza, la vita, questo “oscuro”, per Hegel non è altro, non può pensarsi altro speculativamente, che una successione di nascita, di morte, di rinascita, e morte fino ad un’estinzione, terrena, che dovrà pur avvenire. Un continuo, limitato in un tempo e in uno spazio, germogliare e cedere.

Se ciò lo diamo per ipotesi accettato, come sempre si biforcano davanti a noi due strade:

  • Cercare di comprenderne di più, scendere nei dettagli così ampliando le nostre conoscenze.

  • Fermarci.

Mi ha incuriosito, e non poco, la notizia della fortunata scoperta, da parte di alcuni scienziati di un’università statunitense, di un pesce della specie dei periophthalmus, (cui appartiene anche il ghiozzo che cammina ed abita il fango) il quale, oltre che aver scelto di uscire dall’acqua ed abitare la terra modificando le sue pinne ventrali in funzionali appoggi con i quali muoversi nel nuovo ambiente, emette anche dei suoni, i quali, dicono questi scienziati dopo aver eseguito vari esperimenti, si pensa fondatamente avendo analizzato azioni (degli stessi sperimentatori) e le reazioni del pesce, abbiano la finalità primaria, come il grido di certi altri animali, di spaventare, ( come individuo) eventuali nemici e predatori nei casi di pericolo.

Ciò mi ha portare a ripensare il ghiozzo per così dire semplice, quello già noto, e la rana che s’ingrossa, ed il camaleonte, per dirne dei più noti, cioè un essere che ha prodotto e produce in sé trasformazioni.

Riflettendo su tali fenomeni per sequenze successive, pur rendendomi di mano in mano conto delle mie limitatezze, ho ragionato in questi termini.

Mi sono chiesto per prima cosa perché il ghiozzo fosse uscito dall’acqua, elemento in cui era nato e viveva, rispondendomi che per fare una scelta così radicale, doveva esserci pur stata una elaborazione intellettuale da parte del suo cervello. E di fronte a cosa, tale elaborazione?

E di che mezzi si era servito?

Non nego di essermi supportato, in queste riflessioni, delle quali rozzezze mi scuso fin d’ora, di alcune letture fatte che, anzi, mi sono state essenziali. Ad esempio, La critica della ragion pura di Kant, o Estetica, di Croce, e sul loro confrontarsi. Dove i due filosofi divergono, infine, dopo un tratto comune di pensiero, sulla confluenza di percezione sensoriale, sensazioni, intuizione come già atto creativo in sé. La quale intuizione trova poi, secondo il Croce, con l’ulteriore requisito di “pura”, espressione autonoma nell’arte. La quale Arte, per il suddetto autore, è pertanto una forma autonoma, delle due riconosciute: Arte e Logica, di conoscenza che non viene più, non ha più alcuna necessità, di essere espressa per concetti.

Bene. Così ragionando mi interrogavo se il ghiozzo che vive nel fango e prima ancora è uscito dall’elemento acqua operando una scelta fondamentale per la propria sopravvivenza, o la rana che ingrossa il proprio corpo per difesa, o il camaleonte che cambia colore per lo stesso motivo, o il ghiozzo che, idem, emette il grido, in tal modo avendo operato, per i comandi inviati dai neuroni ad altre parti del loro corpo, delle trasformazioni, abbiano percorso solamente una sequenza puramente logica od anche artistica. Prima che scoppiate in fragorose risa, poiché l’argomento a me pare importante, mi spiego. E mi spiego in questa maniera.

Pensate voi che non vi sia stata necessità, prima della realizzazione operata da parte dello stesso cervello del ghiozzo delle pinne in pinne palmate, di rappresentarsele nell’ambito di una parte dello stesso cervello, di vederle prima cioè? Prima di realizzarle.

Mi obbietterete che si, che se le è rappresentate quale immagine interna, prima di dar corso alla loro realizzazione, assommando tutte le informazioni raccolte fino a quel momento. Perlomeno un abbozzo, e che poi è partito l’ordine di realizzazione esprimendo in tal modo una volontà. Non solo, ma lo stesso ghiozzo, può avere, nel corso degli anni, o secoli, o millenni, o milioni d’anni trascorsi dal quel primo atto, aver avuto altre percezioni quali la difformità delle prime pinne palmate a far fronte a tutte le esigenze ad esse demandate, e quindi ulteriori intuizioni ed immagini correlate poi a conseguenti modifiche, fino al presente, allo stadio attuale.

Se ragioniamo e procediamo in questo modo ci rendiamo conto che, nel ghiozzo preso ad esempio, la forma artistica, l’intuizione pura, la rappresentazione, pur se nata in una particolare sezione del cervello, si connette poi, per esigenze strettamente dovute alla salvaguardia dell’elemento primario, (la sopravvivenza dell’individuo creatore) ad altre parti del cervello del medesimo soggetto in quanto la stessa sezione rappresentativa non ha facoltà di poter procedere alla realizzazione e viceversa. Che, poi, per effetto di un’altra facoltà di secondo grado dell’essere, i suoi simili, gli appartenenti alla stessa specie, e genere, sono in grado di assimilarne direttamente gli effetti, (benefici e svantaggi) dando così luogo ad un altro processo, quello di ri-generazione.

Questo, nella storia della scala evolutiva.

Sono concetti, a mio parere, che vanno tenuti presenti, perché generali, o meglio universali, nelle varie attività degli esseri, compresi i cosiddetti umani. E, nelle varie attività, comprendo quella estetica, logica, economica e morale, seguendo le categorie filosofiche, “i distinti”, dell’intero spirito non solo crociano.

Si tratta, in definitiva, di tutta l’intera attività umana così come evolutasi, ivi compresa la “scienza”, che alcuni continuano ad interpretare come attività pratica mentre nel suo scatto induttivo è, essa stessa, intuizione, rappresentazione. Realizzata, successivamente, attraverso una particolare tecnica: quella del modello matematico. Ma anche la musica segue questo processo, il suono deve essere tradotto in scale matematiche che ne misurino le onde, le vibrazioni percepite nell’etere, la pittura, la poesia, la danza, e tutte in genere le altre arti, per trasformare l’intuizione in rappresentazione.

Ora veniamo a parlare di una partcolare forma di rappresentazione: il linguaggio.

Nessuno dubita che i nostri antenati abbiano posseduto un linguaggio vocale, oltre che mimico e sensoriale, nel remoto passato; si tratta piuttosto di cercare e poi definire il fatto per cui tale linguaggio vocale abbia potuto evolversi in quello contemporaneo.

Alcuni ricercatori fanno scientificamente risalire tale scatto evolutivo nell’assunzione della posizione eretta da parte dei nostri progenitori: posizione quanto mai utile, quando si caccia, per guardare oltre l’ostacolo dell’altezza dell’erba della savana o per spingere lo sguardo oltre il cespugli e rovi del sottobosco.

L’assunzione della posizione eretta, divenuta abitudinaria in forza dell’utilità scopertavi, avrebbe provocato col passare del tempo una modificazione delle nostre corde vocali. Per effetto di questa modificazione, noi saremmo oggi così in grado di parlare, cantare ecc., come facciamo.

I due fatti, le due scoperte scientifiche, anche se a prima vista potrebbe sembrare ovvio, fanno pensare ad un ordine impartito dal cervello, un ordine che parte dalla stesso elaborando contemporaneamente la propria miglior organizzazione, ad un altro organo da esso delegato in forza di una specificità di cui è a conoscenza.

Fanno, però, pensare anche ad uno scarto: a temporalità diverse di corrispondenza, e mi spiego.

Nel caso dell’uomo, ad esempio, se il vedere da sopra permesso dalla posizione eretta è un fatto avvenuto dopo, fermo che il “vedere” sia sempre stato delegato agli occhi, almeno a partire da una certa fase evolutiva, cioè dalla loro creazione specifica, [sulla terra-si dice- (ma un si dice avvalorato da gran parte della comunità scientifica) fossero venuti ad esistenza, a partire da elementi chimici-gassosi, all’inizio della cosiddetta creazione, solo essere unicellulari] già quest’ultimo fatto costituirebbe il primo gradino dello scarto, una dimostrazione di temporalità diverse.

Partendo dallo stesso presupposto, dobbiamo desumere che, in assenza degli occhi, in forza dell’assioma che “nulla è creato dal nulla”, questi elementi chimico gassosi abbiano generato, già contenendoli in “nuce”, prima un cervello, cioè un centro nevralgico, un centro di coordinazione degli altri organi, e via via, per divisione necessitata, gli organi altri, fino a quelli che oggi conosciamo.

Così potremmo dire che egli, il cervello, il centro nevralgico cui convenivano tutte le domande dettate dalla necessità primaria di quell’essere di cui faceva parte, la sopravvivenza in primo luogo, rispondesse creando a propria volta gli organi necessari a sopravvivere e continuarsi. Dettagliando altresì, nel corso della propria evoluzione, ed ampliando o comunque modificando, se stesso e le specificità dei medesimi organi.

Possiamo ipotizzare, ad esempio, che la vista dell’uomo che si era alzato in piedi venisse adattata ad un orizzonte più lungo rispetto a quello dell’uomo che si muoveva nel sottobosco, o tra le erbe della savana, così come sappiamo che gli occhi delle talpe, essendosi adattate, sempre per una loro necessità, a vivere nel sottosuolo, siano oggi pervenuti a chiudersi quasi totalmente.

Se ciò è dato, che la vista quindi si sia potuta allungare e l’occhio umano abbia potuto assumere funzionalità quali diverse permissioni di angolatura rispetto ad un prima, perché non pensare ad ulteriori modificazioni nelle corde vocali? E a sinapsi conseguenti? Cioè alla immissione nella rete neurale di corrispondenze necessarie ad un buon funzionamento dell’apparato globale relative anche a questo organo?

La storia del Linguaggio.

Qui taglio corto.

Riprendendo la scoperta del pesce, del periophthalmus che grida, emette vibrazioni nell’etere da non so quali organi interni, per cercare di spaventare i propri predatori, quindi in funzione di una sua esigenza primaria, che è quella della propria sopravvivenza, pervengo a rappresentarmi “la funzione utile del linguaggio” quale facoltà, in specifico, dell’uomo in particolare.

Non mi interessa più di tanto nemmeno la transizione dalla tradizione orale alla scrittura, datata perlopiù circa tremiladuecento anni fa nella bassa Mesopotamia con l’invenzione dei caratteri cuneiformi, utile, anche quest’ultima, nel passaggio tra una civiltà di cacciatori o piccoli allevatori appartenenti ad una comunità ristretta quale un villaggio, ad una comunità più ampia quale la città; alla necessità dei suoi commerci ampliati nello spazio fattosi più grande; o quella scrittura fatta di ideogrammi, forse ancora anteriore, nata in Cina, o alla scrittura fenicia, o a quella dell’antico Egitto, scoperta attraverso la stele di Rosetta.

Non sono uno storico, né un archeologo, né tanto meno un esperto del linguaggio Non sono esperto in nulla

Ciò che unicamente m’interessa è indagare se esista un elemento primario che giustifichi questa “ nuova” facoltà e le sue conseguenti diramazioni ed usi e, credendo di averlo trovato nella necessità di sopravvivenza, in tal modo lo giustifico e lo indago.

In forza di una causa giudicata primaria.

Ora, tale facoltà, il linguaggio, mai da considerarsi, per quanto detto sopra, autonomo rispetto alla causa, può estrinsecarsi, e svilupparsi, in varie espressività:

  • In “prosa”, così come in un “canto”, ambedue permessi dalla conformazione delle suddette corde vocali. E portatori in questo caso, veicoli, semantica di questa divisione, sono i suoni, le vibrazioni così come possono essere percepiti dall’orecchio nello stesso etere.

  • In immagini, grafia, e portatore, in questo secondo caso, è lo spazio con altre onde specifiche, così come viene percepito dall’occhio.

  • In un terzo modo, che accomuna, per effetto dei collegamenti neuronali creatisi nel nostro cervello, tutto il corpi ivi compresi i sensi conosciuti, cioè udito, vista, tatto, olfatto e gusto.

Portatore, veicolo, in quest’ultimo caso, deve considerarsi, per semplicità, la stessa rete neuronale, la quale sintetizza, ricorrendo alle sinapsi i suddetti fenomeni, sia interni che esterni.

Attribuisco a quest’ultimo gruppo, per effetto di questa sommaria divisione, il linguaggio del corpo, in particolare il fremito, lo spasimo, la sudorazione, le sensazioni di freddo e caldo e così via, le quali reazioni non è vero che vengono percepite solo ed esclusivamente dallo stesso soggetto che le emette, bensì possono essere percepite anche da soggetti esterni.

L’espressività, di cui sopra, può essere a sua volta portata da forme particolari che costituiscono, per l’appunto, le varie forme espressive ad esso appartenenti.

 

aggiungo un ulteriore pezzetto, utile, per chi vuole, per un' altra riflessione.

poi si unirà, una volta revisionato e chiuso. 11.09.2011, ore 10,01

  

Gianbattista Vico, ( colui cioè che 10 anni almeno prima del Baumgarten dava voce ad un' ulteriore branca della Filosofia: l'Estetica) in Scienza nuova, nella parte riguardante la Poetica, rivalutando quest'ultima in opposizione alla collocazione negativa espressa da Platone nella Repubblica, assegna storicamente, alla medesima Poesia, una priorità cronologica non solo rispetto alla logica, (il concetto) bensì alla stessa prosa, cioè al discorso, anch'esso essenzialmente basato sui concetti.

Il quale discorso può contenere chiaramente, ed ovviamente, nel contesto suo proprio, anche parti poetiche, ma rimane che è diversa la struttura, il fondamento.

Riflettendo su questa parte chiedo anch'io, a mio modo seguendo il filo del pensiero precedente, quello dell'uomo che si alza per osservare meglio l'orizzonte: come si sarà espresso quell'uomo cacciatore?

Lo immagino far di segno sulla posizione della possibile preda ai propri compagni, lo immagino imitare il più possibile il suono emesso dalla stessa, per non spaventarla e così perderla.

Ecco pertanto nascere esemplarmente il gesto, ecco nascere i tropi, sviluppati poi in tutte le loro possibili variazioni, della metonimia, poi della metafora ma, prima ancora, la mera simiglianza della sillaba, o di una parte d'essa, fonemica o consonantica, probabilmente.

Questo perché il verso della preda, anche al giorno d'oggi, ce lo rappresentiamo, e di fatto assomiglia più ad un fonema, o ad un gruppo esclusivamente consonantico, che ad una sillaba completa come siamo usi ad intenderla nel nostro alfabeto derivante principalmente dal mondo greco, comunque dall'area mediterranea.

Non dimentichiamo poi che, nel medesimo alfabeto, storicamente, le vocali furono aggiunte in epoca successiva a quella di una sua prima formazione consonantica.

Io li immagino, quegli uomini per i quali erano trascorsi già centinaia di migliaia d'anni, che già conoscevano il fuoco, che già avevano dato i primi gridi venendo uccisi, o calpestati, o urtati, o bruciati, una volta modificatesi le loro corde vocali con l'assunzione della posizione eretta, tornare alla grotta, ed avvertire quelli là rimasti che la caccia aveva dato frutti, e le risposte similmente evocative delle donne e dei bambini e i primi accenni di balli, cui dovette seguire, un giorno dato, o prima o dopo di un fulmine, l'alzarsi dello sguardo al cielo.

E dovevano, quei suoni emessi, stavolta assomigliare più ad un canto, che ad un borbottio indistinto, o grugnito precedente.

 

 

 

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