La panchina | Prosa e racconti | Franco Pucci | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La panchina

Era lì da tempo immemorabile, consunta, ridipinta varie volte con il legno che marciva inesorabilmente: il tempo non era stato certamente clemente con lei. Pur tuttavia era colma di saggezza, di ricordi che puntualmente tornavano alla mente ogni qualvolta un essere  umano posava le sue terga su di lei. Un tempo era verde, di quel bel verde brillante che metteva allegria al solo vederlo.  Giovane e forte, accoglieva teneramente trepidi innamorati o placidi vecchi. La sua casa era il parco di una vecchia e austera cittadina del nord dell’Inghilterra, pioppi e ontani rinfrescavano con la loro presenza le rare giornate di sole che interrompevano saltuariamente il grigio plumbeo caratteristico di quelle lande. Non aveva un nome, anche se era stata battezzata più volte da giovinastri in vena di divertimento che avevano inciso su di lei messaggi amorosi, improperi, volgarità. Eppure era felice, di quella felicità serena che solo l’età e l’aver raggiunto la pace con se stessi permetta di avere. La curiosità e l’immutato amore verso la vita che ogni volta le si rappresentava diversa e piena di novità e incongruenze avevano fortificato la sua fibra al punto tale che l’avresti paragonata sicuramente a un vecchio contadino dai lineamenti scolpiti dal tempo e dalla durezza della vita. Questi pensieri si rincorrevano nella mia mente mentre la guardavo e mi accingevo con una sorta di timore reverenziale a sedermi su di lei. E’ tutto molto sciocco, -pensai-, la conosco molto bene, ci incontriamo ogni giorno, è solo la solita panchina che,  a dir la verità, sta diventando viepiù scomoda. Ma una sorta di ansia mi attanagliava e con il fiato sospeso iniziai a leggere il quotidiano mentre i nervi erano tesi come in spasmodica attesa di un non ben identificato, ma ineluttabile evento. Finii il quotidiano, mi stiracchiai pigramente le membra e feci per alzarmi, deciso a cancellare quel senso di disagio che ancora sentivo dentro di me con una salutare passeggiata. Non riuscii ad alzarmi. Una forza misteriosa mi teneva incollato su quella panchina.  Dopo un primo, comprensibile attimo di smarrimento cercai lucidamente di dare una spiegazione razionale alla situazione che, se guardata con disincanto, poteva senz’altro apparire ridicola.  Fu a questo punto che sentii una voce suadente, carezzevole provenire dalla panchina: “il tuo tempo è scaduto, sei molto stanco…..riposa”. Se passate per il parco di quella cittadina del nord d’Inghilterra, cercate pure quella panchina ma, per amor di Dio, non sedetevi!

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