Scritto da © Maria34 - Sab, 11/02/2012 - 12:05
Ero piccola, frequentavo la seconda e poi la terza elementare, mio papà era in guerra, combatteva in Croazia (così dicevano i grandi). Di tanto in tanto veniva a casa in licenza per cinque o sei giorni.
Il suo arrivo era una festa, la sua partenza uno strazio.
Io non volevo assolutamente che mi vedessero piangere, ricacciavo dentro di me questo segno esteriore della sofferenza come una viltà della quale bisognava vergognarsene.
Lui era vestito da militare, nella stanza si radunavano silenziosi tutti i parenti e amici che venivano a salutarlo. Seduti, muti e tristi, mia madre con il volto rigato di lacrime, lei sempre così forte e coraggiosa in quei frangenti diventava fragile. Lei che aveva tutta la responsabilità di crescere noi tre figli e pensando a quei tempi nulla abbiamo risentito delle privazioni che il periodo comportava.
Lei che ogni giorno chiudeva nel suo cuore la paura di ricevera una brutta notizia dal fronte croato.
Io odiavo quella cerimonia, avrei preferito che questi saluti si fossero svolti in famiglia senza tutta quella gente e attribuivo a loro quella atmosfera che ricordo buia ed opprimente con tanti occhi che osservavano i nostri comportamenti come a spiare i nostri sentimenti.
Sentimenti che celavo a tutti mettendomi vicino alla finestra e guardando fuori ben attenta a non girarmi se avvertivo che le mie ciglia fossero inumidite.
Il bacio di papà era il segnale che stava partendo ed io nel farlo cercavo di avere gli occhi ben asciutti. Salvo poi a confidarmi con la nonna, depositaria delle mie confidenze, come a volerle far capire che quel mio comportamento non era insensibilità ma fierezza.
So di aver scritto altro su papà militare ma non li cerco ora, li aggiungerò quando li troverò.
Il suo arrivo era una festa, la sua partenza uno strazio.
Io non volevo assolutamente che mi vedessero piangere, ricacciavo dentro di me questo segno esteriore della sofferenza come una viltà della quale bisognava vergognarsene.
Lui era vestito da militare, nella stanza si radunavano silenziosi tutti i parenti e amici che venivano a salutarlo. Seduti, muti e tristi, mia madre con il volto rigato di lacrime, lei sempre così forte e coraggiosa in quei frangenti diventava fragile. Lei che aveva tutta la responsabilità di crescere noi tre figli e pensando a quei tempi nulla abbiamo risentito delle privazioni che il periodo comportava.
Lei che ogni giorno chiudeva nel suo cuore la paura di ricevera una brutta notizia dal fronte croato.
Io odiavo quella cerimonia, avrei preferito che questi saluti si fossero svolti in famiglia senza tutta quella gente e attribuivo a loro quella atmosfera che ricordo buia ed opprimente con tanti occhi che osservavano i nostri comportamenti come a spiare i nostri sentimenti.
Sentimenti che celavo a tutti mettendomi vicino alla finestra e guardando fuori ben attenta a non girarmi se avvertivo che le mie ciglia fossero inumidite.
Il bacio di papà era il segnale che stava partendo ed io nel farlo cercavo di avere gli occhi ben asciutti. Salvo poi a confidarmi con la nonna, depositaria delle mie confidenze, come a volerle far capire che quel mio comportamento non era insensibilità ma fierezza.
So di aver scritto altro su papà militare ma non li cerco ora, li aggiungerò quando li troverò.
Maria Mastricola Dulbecco
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