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L'uomo che visse una volta

S. non era un uomo da vita vissuta. Non lo era stato stato mai. Aveva avuto i pro e i contro come tutti nella vita.
Aveva la fede. Credeva in un essere supremo che aveva creato tutto le cose. O giù di lì.
Tuttavia la regola degli anta l'aveva stampata a fuoco sui suoi anni, che, ad un certo punto, iniziano un rush finale per arrivare di corsa all'appuntamento con la morte. Gli anta sono il confine che delimita il successo dal fallimento. Ed S., secondo le regole vigenti della società civile era catalogato tra i falliti. Non che non fosse riuscito nei suoi intenti. La laurea, un lavoro, la famiglia, qualche soddisfazione. Ma la crisi, così come per tante famiglie di ceto medio, lo aveva messo in ginocchio.Quando sei negli anta e le tue certezze diventano incertezze, quando galleggi tozzo e leggero come un pezzetto di merda nell'acqua, se stenti ad arrivare a fine mese, se riesci a malapena a sostenere il fabbisogno della tua famiglia, allora sei un fallito alla deriva, allora sei soltanto uno stronzo, che sporca l'ossigeno di questo mondo con la sua inutile presenza.
"C'è una bella differenza" diceva il professore di economia all'università"fra aspirazione e ambizione. Colui che aspira a qualcosa, raggiuntala, si ferma. L'ambizioso no. l'ambizioso crea, costruisce, va oltre. L'ambizioso realizza i suoi ed i sogni degli altri."
Le più belle case, la più bella vita appartengono all'ambizioso. Invece S. cosa aveva da lustrare? Decisamente poco. Aveva ancora venti anni di mutuo sulle spalle., il pacchetto di sigarette giornaliero in tasca, una moglie che lo scopava sempre meno. E poi c'era la fortuna puttana puttana, che non gli aveva mai arriso e quell'altra puttana della sfortuna che gli stava appiccicato come l'edera e pretendeva la sua fine. Un altra cosa che un anta del genere non dovrebbe fare, è guardarsi allo specchio. S.,allo specchio si vedeva vecchio, le rughe storte, il suo colorito di un bianco grigio, il sorriso malinconico. S., quando era bambino, sognava ad occhi aperti davanti all'albero di natale, giocava con la sorellina ed il papà, mentre la mamma preparava il suo dolce preferito. Come era bello il natale allora.
Questo natale, invece, si accingeva peggio degli ultimi dieci. Negli altri ce l'aveva sempre fatta a pagare i debiti, le bollette e a regalare qualcosa ai suoi bambini, a sua moglie. Dio gli era stato vicino, ma questa volta Dio non volle ascoltarlo. I primi giorni di dicembre si erano già mangiati tutta la tredicesima e gran parte dello stipendio. Ed aveva ancora tante cose da pagare.
S. era in pieno centro, quando si accorse di essersi fermato davanti alla vetrina di una gioielleria. Era abbellita da luci natalizie. I gioielli brillavano ad intermittenza. Dai vetri trasparenti usciva un gingle, dolce come quella sera. Si, Dio si era dimenticato di lui. Afferrò
il grosso vaso posto all'entrata del negozio e lo scaraventò con tutte le forze sulla vetrina.
Schegge di vetro esplosero in tutte le direzioni. La gente scappava. Qualcuno piangeva. S. iniziò ad afferrare tutto l'oro che poteva. ma un colpo di pistola lo centrò alla testa e lo uccise sul colpo.
Il giorno dopo la vetrina era stata riparata. Il sangue lavato. Dai vetri traspenti usciva un gingle natalizio, dolce come quella sera.
 

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