Isabel e il naufragare dei sentimenti: Apnea di Paola Tinchitella
Avere fra le mani Apnea (Il Filo 2009), romanzo d’esordio di Paola Tinchitella, è come sentire fra le dita il calore dell’acqua. La copertina marina di Loretta Anna Pagliacci fa immergere immediatamente il lettore nell’idea del mare e nel suo concetto di molteplice infinito.
Per la Tinchitella, la metafora dell’acqua è fonte di vita: è un dono speciale, un momento di riflessione. Ma che valore avrà l’acqua nel suo romanzo?
“Le acque torbide e melmose, nere e maligne invadono i miei occhi sbarrati da lastra di metallica paura, e quelle stesse acque sembrano nient’altro che l’estensione di tutte le paure provate in questa vita…che oggi si rivela a me come un enorme beffa” (p.158)
Le parole di Isabel tagliano a metà i sentimenti, il senso di sospensione e di dolore che ne derivano fanno pensare all’affanno di un naufrago in cerca della propria sponda salvifica.
Ma chi è Isabel? Perché tanta sofferenza? Cosa si nasconde dietro ai suoi “pellegrinaggi interiori”, al suo “distacco dal quotidiano” e al suo “involucro di egoistica solitudine”?
Con immagini a tratti inspiegabilmente inquietanti, e con sentimenti tutti interiori, come protetti da solide catene, la donna ci rivela: “Comincio a pensare che si tratti di autolesionismo, forse masochismo o forse questa mia incoerente contraddizione mi umanizza, mi rende più simile al resto del mondo e più accettabile ai miei occhi” (p.45).
Isabel va con coraggio incontro al dolore. È consapevole del fatto che la vita è un nuotare incessante nelle acque della tristezza.
Con la maschera della felicità in mano, Isabel si racconta, dimenticandosi a volte dei pudori che hanno reso le donne prigioniere nei loro più intimi segreti. E “la despota di se stessa”, dimenticandosi i sogni in un cimitero lontano, resta incantata di fronte al quadro perfetto del mare: “Spettacolare il mio mare d’inverno, stravolto come me!”. (p.29)
Mariella Soldo-Notterrante
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