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Il tempo a pezzi

Camminavo poco fa lungo gli scoscendimenti delle gole di un fiumiciattolo, qui, inerpicato come un poeta fra le acute rocce di una primordiale scrittura del mondo. Così, immerso in quella tettonica, mi viene in mente la morte assiderata di un infelice, quaggiù, l’anno scorso, ruzzolato nelle sue gelide acque e incagliatovisi sotto. Allora, ho detto al mio cane: “Andiamo a vedere se quel poveraccio è ancora morto.” No, senza ironie. L’ho spifferato così, per interrogare la natura là intorno, per vedere se gli alberi, le acque, le pietre avessero voluto conservare, che so?, qualche lacrima in memoria di quell’entità che avevano voluto trattenere con sé.
Così ho trascinato il mio esserci fin dove quel medesimo orizzonte non mi si è sciorinato davanti, l’orizzonte che per lui, per la vittima, era stato il sipario che chiudeva il suo. E’ perciò che esistono gli orizzonti, per ostendersi davanti all’esserci di cui capitano a tiro… rendendo così vano l’assillo di chi lo marca stretto per fargli sputare qualche briciola, qualche menoma traccia spaziale dell’evento tragico, manifesto invece come tempo. Non possono esserci pezzi di tempo restati inascoltati o dimenticati sul greto di qualcosa. Sia questo qualcosa pure roccia o acqua, lo è dentro il mio orizzonte degli eventi, ora che lo vedo qui- non dentro quello morto del morto. Il paesaggio è un appannaggio dell’esserci, la sua fornitura, il suo bagaglio. E’ impossibile tornare dentro un altro paesaggio, anche se materialmente appare come il medesimo. Il luogo ove la tragedia si era consumata era da un’altra parte. Fissato come un’istantanea in un altrove che potremmo definire forse la storia, ma in cui lo spazio era come contratto in sé e non coincideva affatto con quello aperto davanti a me, con le sue acque argentine in fuga, come un canone bachiano. Quell’altro luogo, quello con la morte dentro, sussisteva da qualche parte- ma non era già questo. Qui non c’era nulla di lì. Questo non era che il mio panorama, il mio orizzonte e conteneva soltanto la mia memoria e la mia nozione dell’altro. L’altro se ne restava inaccessibile e refrattario nel suo mondo senza materia, un mondo di pezzi di tempo orizzontali e persino adiacenti, tuttavia destinati a non incontrarsi mai.  

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