Scritto da © matris - Sab, 07/04/2012 - 21:46
Mi sento un diogene nella sua botte di ferro, ma il dolo che mi porto al mare a fare un bagno è di essere stanco di possedere aria inquinata, non vorrei mai essere un despota tale il mio padrone o quello che ne è rimasto del mio lui, ma si tratta di respiri, sospiri, colti dal giardino adiacente casa.
Sono infingardo a gettare le reti qui, in riserva protetta, per carpire un dono a me segreto colto dal mare del mio sogno, al di là del mio dolore, del mio dissapore con la vita grama.
Compresi la gioia mia, quella che ho lasciato al mondo dei segreti, per confidarti a me in un mistico amore dettato dal suono del vento, agitare le ali al sole che non ha dubbi e scalda, scalda, intiepidisce e scalda, lo sai, sei stata mia piccola cometa rossa. Il mare avvolge con il suo rumore le onde nell'aria, nel cielo segnano traiettorie i gabbiani denutriti, nel sole i raggi caldi, cola la pelle sudata, un carillon di voci entrano ed escono come d'incanto alimentando quella confusione... quel dissapore quell'irrealtà, rendendola sfuggente, frivola impalpabile, rigenerata.
Addussi ad un turbine la frenesia dello sfiorare di ciglia, un fremito, un sussurro accennato, quant'altro era in più in quel madido momento come mai agoniato, di più sarebbe valso il mondo, con le sue belle sinfonie, le sue smaliziate farse, magari sudaticce, magari condizionate dall'inebriante frescore profumato di bosco.
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