Nella Venezia sconosciuta incontro ciò che più solletica la mia curiosità, il ghetto ebraico. Ci finisco " per caso" e scopro che è proprio lì che avrei voluto andare e curiosare un mondo attorno al quale ruota la mia più candida ignoranza unita all'incapacità di trovare risposte ai tanti quesiti su questa realtà per me così misteriosa e apparentemente lontana nel tempo e nelle abitudini.Non so spiegare il perché ma, vagabondando in questo spazio preciso, mi sento felice come se avessi esaudito un mio desiderio recondito mai sopito.Più volte infatti, in altre realtà italiane, mi sono imbattuta nella eventualità di conoscere la realtà giudaica delle sinagoghe ma subito svanita! Non era infatti prevista la possibilità di visita nei giorni in cui ero lì o addirittura interdetta l'entrata agli estranei.A Venezia invece questo mondo mi si offre per caso, non cercato intenzionalmente ma trovato imboccando un portico stretto ed anonimo. Mi colpisce nell'immediato un panificio di dolci tipici kasher e come un bimbo mi fermo davanti alla vetrina divorata dal pensiero di quale differenza ci può essere tra un goloso cattolico ed uno ebreo e che gusto potrebbero avere i dolci che vedo rigorosamente impilati sui vassoi in vetrina. Tra i vari tipi esposti fanno bella mostra di sé una specie di cannoli ripieni dal nome improbabile. A due passi dal forno, negozi di arte, monili e stampe con i simboli tipici della religione ebraica.Molti giovani mi sfilano accanto frettolosi, molti di essi indossano il tipico copricapo ebraico che in lingua corretta si chiama kippa. Sembra di aver imboccato una porta segreta che dal Ponte delle Guglie porta in un mondo a parte, dove il tempo sembra scorrere in modo differente,più lento e lontano dall'andirivieni di Strada Nuova ma soprattutto un mondo per pochi, che si fa osservare ma non cerca clamore, Questa è la sensazione che avverto preponderante, di essere ospite di una realtà che non si mostra facilmente e quando scopro che esiste la possibilità di visitare le sinagoghe ne rimango piacevolmente stupita, come se qualcuno avesse letto il mio desiderio di capire osservando e ascoltando e mi concedesse il lusso di "entrare" nel cuore della comunità ebraica, guidandomi. I negozi si contano sulle dita di una mano e gli oggetti esposti in un esercizio vicino all'imbocco di questo mondo, attirano la mia attenzione, oggetti in argento dalla fattura più svariata e dal significato a me sconosciuto. Non mi scoraggio anzi, raccolgo la sfida di colmare il mio ennesimo vuoto cognitivo documentandomi poi. Un altro posto strano davanti al quale mi incanto è un ristorante tipico. Davanti al menù esposto non sono sola, con me una coppia che sembra comprendere il senso delle parole scritte e parla una lingua che usualmente non si ascolta nelle calli di Venezia, darei un braccio per capire gli usi e le abitudini di un pranzo rituale, imparando il significato delle pietanze e la loro corretta successione.Sarei persino tentata ad entrare ed assaggiare ma vince il timore che la mia curiosità possa essere fraintesa o offendere involontariamente un credo profondo.È l'unico sentimento che mi frena nel far domande e chiedere lumi.
Mi perdo nell'osservare caseggiati uniformi che nascondono una vita sconosciuta e forse per questo avvertita lontana, da fuori tutto sembra anonimo ma dietro quelle finestre occhi attenti osservano i miei passi cercando di intuire le mie intenzioni e le ragioni che mi hanno spinto a girare e rigirare il ghetto. Leggo un cognome su di una targa , è Ottolenghi e questo mi riporta ad un racconto dei miei nonni su un signore ebreo che possedeva un palazzo nella via centrale del paese, posseduto poi dalla mia famiglia.Ricordo si diceva fosse molto danaroso e con servitù al seguito, al punto che il Palazzo prevedeva i piani nobili ma uno anche interamente dedicato alla servitù.Anomalo come questo cognome torni spesso a farsi leggere, come in Piemonte e per il momento è l'unico anello che mi lega a questa realtà
- Blog di lety
- 884 letture