Non te ne eri accorto, salivi la via con il passo leggero, ti lasciavi assorbire da qui muri, da quelle finestre prive di tendine, da quelle scalinate che ti ricordavano tanto i vicoli della Liguria, insolite per una cittadina medievale. Fotografavi quei massi che sbucavano dai muri come muffe. La città ne era piena. I ghiacciai avevano terminato qui la loro partita con il disgelo. Le case erano sorte di fianco, di sopra, di lato, disgregandoli ove possibile, oppure fagocitando quei birilli di ere glaciali. Avevi visto, ai piedi della scalinata, quella singolare lapide che attestava la natalità di quell'uomo.
FRA QUESTE MURA
NEL FEBBRAIO 1880
IL SERVO DI DIO
LEONARDO MURIALDO
APRIVA IL SUO ORATORIO
ALLA GIOVENTU' RIVOLESE
TUTTA ABBRACCIANDOLA
IN UN IDEALE SUBLIME
DI RELIGIONE E DI PATRIA
CINQUANT'ANNI DOPO
GLI EX ALLIEVI
Pensavi: città di fanti, uomini e santi.
Da quei muri corrosi dallo scorrere del tempo, le storie si intrecciavano, si scollavano via, scivolando come foglie al vento. L'uomo era sbucato dal sottoportico, la sua mole si stagliava nitida come una sagoma di cartone.
Tu l'avevi incrociato con quell'inquietudine preannunciata da un sottile brivido nella schiena, sapevi che stava per verificarsi un evento, ne annusavi nell'aria il suo manifestarsi. Vi eravate scambiati uno sguardo, poi lui indicando la tua macchina fotografica aveva detto sorridendo: “Fotografo?”.
“No, cerco delle storie”, avevi risposto; poi, seduti a quel tavolino, tra due bicchieri di vino, quell'uomo aveva iniziato a raccontare e la storia era partita, oscillando lenta, regolare.
Parlava di quando la città era piccola, di quando tutti sapevano tutto di tutti e ogni fatto, superato l'orlo del pettegolezzo, assumeva i contorni e le sfumature del gesto epico, della leggenda.
Proprio dopo quel secondo sottoportico, oltre la “RIVENDITA PANE” (avevi visto le tracce dell'insegna affrescata sopra la porta sbarrata da anni), quella gestita da un suo amico scampato all'eccidio di Cefalonia, lì, nella casetta d'angolo che tanto ricorda un'illustrazione di un libro francese, c'era un barbiere. Nella sua bottega si snocciolavano le vicende quotidiane e i fatti si masticavano e rimasticavano come gomme americane.
Io ero lì quel mattino, replica l'uomo eccitato dal ricordo che si dipana dalla sua mente e prende corpo, poi di un fiato esclama: Li ho visti arrivare. Era una di quelle macchine lunghe, sa di quelle americane...
tu osservi l'uomo infervorato dal racconto, ti sembra che la scena si stia svolgendo in strada, a un passo da voi, ti pare di sfiorarla.
Lei era bellissima... un paio di gambe maestose! Aveva un foulard annodato al viso e gli occhiali da sole... ma che bel personale che aveva... rideva... la sua voce era cristallina come acqua...
Erano in tre su quell'auto, c'era l'autista, l'altro passeggero era uno piccoletto, leggermente calvo, indossava una maglietta a righe sotto una giacca scura e aveva delle strane scarpe che sembravano ciabatte... fumava, l'avesse visto come fumava... e poi quegli occhi sembravano carboni ardenti, sempre in movimento.
Era entrato, parlava in francese, voleva farsi sbarbare. E io dietro a lui, subito mi ero infilato dentro la bottega, sa …, curiosavo...
C'era anche Lir, il cane di Antonio, che era venuto a scodinzolarmi addosso, l'avevo accarezzato, poi mi ero seduto e, aperto il giornale sportivo (all'epoca scribacchiavo di fatti sportivi per un giornale di provincia), dietro le pagine, sbirciavo la scena.
L'autista era in piedi sulla soglia del negozio, fumava e parlava con la donna che era rimasta seduta in macchina. Mi ero acceso anch'io una sigaretta mentre Toni stava insaponando il viso del cliente.
Quell'uomo era davvero curioso, roteava gli occhi in ogni angolo della bottega. Lir gli si era avvicinato, l'aveva annusato, prima timidamente, poi si era lasciato accarezzare. Sembravano due compagnoni, Lir cercava di mordere per gioco la mano dell'uomo e lui la ritirava di scatto, giocavano come due bambini...
Poi il cane gli si era accucciato a fianco e l'uomo si era trasformato in una statua di sale. Allora Toni, con rapide mosse, aveva iniziato a sbarbarlo. Terminata la rasatura, gli aveva appoggiato un asciugamano caldo sul viso, e lui sempre immobile come una sfinge...
Poi si era alzato di scatto, aveva acceso una sigaretta e, mentre l'autista riversava una manciata di monetine nel piattino appoggiato sui giornali, aveva iniziato a schizzare su quell'asciugamano, con brevi tratti, il profilo di Lir.
Stemperava una matita color mattone su quel panno appoggiato a terra. Sembrava aver ingaggiato una battaglia. Aggrediva la tela con colpi secchi, decisi. Ruotava l'asciugamano, sfumava i tratti stemperandoli con il pollice.
Antonio osservava la scena perplesso, scuotendo la testa. Poi aveva tracciato la firma e, salutando, era uscito. Antonio aveva guardato sconsolato l'asciugamano e l'aveva riposto sul ripiano dell'armadio a muro.
Io avevo ricopiato la firma di quell'uomo sul mio calepino. L'indomani dovevo recarmi al giornale e ne avrei parlato con Luigi che si occupava di recensioni d'arte, magari poteva uscirci un elzeviro. In effetti quel disegno presentava tutti gli aspetti di un modernismo che l'arte stava assumendo in quegli anni.
Poi il direttore mi aveva inviato a seguire il giro d'Italia, e la cosa era rimasta dimenticata lì. Solamente tempo dopo, ricordandomi di quel fatto, avevo cercato Luigi e gli avevo detto che un amico milanese era in trattative per un disegno di quel pittore. Lo conosceva forse lui? Luigi, leggendo la firma PICASSO era sbiancato! Ma è il maggiore artefice dell'arte contemporanea! aveva esclamato di botto. I suoi prezzi sono alle stelle!
Poi l'uomo aveva taciuto sconsolato. E allora? avevo incalzato io, bramoso del resto di quella storia.
Con l'aria mesta aveva ripreso a parlare lentamente.
E allora mi sono subito precipitato da Antonio, chiedendo di vedere quel disegno. Chiediglielo a Lir, mi aveva risposto contrariato, indicandomi uno straccio di colore vagamente arancione, che il cane continuava ad appallottolare e morsicare, lacerandolo con i denti. A quanto pare è il suo giocattolo preferito, guai avvicinarsi quando gioca: morde!
Il disegno si era ormai trasformato in una cosa informe, irrecuperabile!
L'uomo aveva poi taciuto pensieroso. Lir era morto l'anno dopo, sotto le ruote di un'automobile. Quando vedeva un'auto era preso da una frenesia di rincorsa. Aveva aggiunto ancora queste poche parole, poi, mestamente si era alzato dal tavolino e, immerso nei propri pensieri, salutando, se n'era andato.
Tu eri rimasto lì, a guardare quello spicchio di cielo che si levava da quelle case strette e alte, da quelle pietre che facevano capolino da intonaci sgretolati. La sera si accendeva, prendendo posto al pomeriggio e tu ripercorrevi quegli scalini con il passo leggero, calpestavi quelle pietre con quella storia ancora nelle orecchie.
- Blog di Rinaldo Ambrosia
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