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La realtà e l'odio

Il nostro modo di vivere porta all’odio. Prima ti mette in isolamento, poi, quando questo sfocia nell’ossessione, ti spinge in una massacrante emulazione, una specie di agone all’ultimo sangue, con altri te stessi, stampati a tua (e loro) immagine e somiglianza. Così che infine prendi a odiarli, riconoscendo nel loro, lo stesso codice barbaro che ti è stato infilato nelle viscere e che sprizza odio verso appunto il proprio archetipo, proiettato per auto-conservazione sull’altro se stesso, tale e quale e tuttavia “altro da sé”. Per batterlo, affinché non sia lui a “ricambiarti la cortesia”. 
Non era sempre così. Fino a qualche tempo fa la dominante del consesso umano era un “pensiero selvaggio”, la cui proiezione mitica conferiva ai rapporti intersoggettivi e alle interazioni sociali un valore magari immaginario, ma che trascendeva la loro realtà concreta per innalzarla ad una loro matrice mitica, in cui i gesti e i segni dei singoli erano rapportati agli archetipi trascendentali degli dèi. Un filo invisibile legava gli uni agli altri in una rappresentazione che ne esaltava l’aspetto più astratto, linguistico, spirituale. La realtà e gli oggetti erano i simboli della realtà e degli oggetti e le persone si muovevano in un universo astratto in cui soltanto le connessioni umane avevano realtà, e quindi valore. Il reale era incompenetrabile e perciò ribaltato nella leggenda, nella metafora. Solo gli affetti, le passioni, le interrelazioni avevano corso e significato nella “struttura assente” della realtà.
Oggi siamo agli antipodi. Il reale è un feticcio onnivoro, un mostro materialista che, deprivato d’alcuna aura di mistero, si profila gigantesco ed icastico fino al delirio davanti alle nostre solitudini, sazie e obese, e tuttavia piene di risentimento verso quel “troppo” che non è mai la soddisfazione della propria promessa. Così, abbattuti dall’insolita impotenza di poter avere tutto (tutta la realtà), si duella col proprio simile per illudersi di arrivare primi in quel campionato della realtà che, in realtà, non ammette primati, non ammette alcunché, non è che una maschera, il feticcio di un valore che lei stessa ha infranto. Così monta in cattedra l’odio. E dall’odio la discordia, e dalla discordia la guerra. Ecco, la guerra sfocia da questa “cosalizzazione”, da questa reificazione della realtà, diventata troppo vera e troppo atea per dare asilo e per sopperire alla nostra costituzione creaturale. È questo il nichilismo del nostro way of life: che essendo essere e in quanto tale creati (con o senza un Dio), ci siamo messi a credere nella realtà. 
 

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