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Il romanzo dell'arte occidentale. 5, Il Gotico dello spirito.

Poco più sopra avevamo etichettato come “viaggi d’affari” le spedizioni crociate in Terra Santa. Volevamo alludere agli interessi che, chi più chi meno, le classi dirigenti coeve potevano nutrire in proposito. Interessi connessi sia a questioni interne, e cioè di potere e di prestigio – per esempio da parte dei Papi, o dell’imperatore; sia a fattori commerciali ed espansionistici- per esempio, il controllo delle rotte commerciali.
Tuttavia, quando proviamo a confrontarci con la intelligentsia medioevale, non dovremmo mai prescindere dal rapporto trascendentale che essa intrattiene (o crede di intrattenere) col soprannaturale. Come scrisse il grande Marc Bloch, nell’uomo medioevale il reale è inscindibile dallo spirituale e l’uno aspetto è co-vissuto in simbiosi necessaria e inseparabile con l’altro. E questo indipendentemente dalla “verità” più o meno vera a cui ci si appende. Si pensi alla “prova” di Anselmo: di ogni cosa si può pensare un’entità maggiore che la precede, fino al punto in cui procedere verso il maggiore si esclude e diventa impossibile. Questa “impossibilità” non la si ha che in Dio, di cui è impossibile postulare un maggiore. Come si vede è una prova di sole parole, che non prova alcunché. Ma la verità nel Medioevo non poteva che essere nominale- persino per i “realisti”, per i quali nome e cosa coincidevano necessariamente (vedi la disputa scolastica tra realisti e nominalisti). Nella condizione dell’angoscia, soltanto il verbo poteva opporsi alla disperazione.
Il templare, perciò, era sempre da considerarsi un vero credente che teneva per irrefutabile l’onere di cui si era fatto carico di liberare i luoghi sacri da “infedeli” che li profanassero. Alla stessa stregua va giudicato l’incredibile impegno col quale architetti e ingegneri si spremettero onde strappar luce ad ogni “ottusa” parete il mattoni. Un compito santo inteso ad ammantare di luce il viatico redentore all’interno della cattedrale. E il senso escatologico di tale compito non restava confinato in un’area ieratica e irraggiungibile. Al contrario, si trattava di qualcosa di condiviso che montava da di dentro di unità di popolo, di religione, di territorio, percepite come un totus, e non, per esempio, come lignaggio di una classe. Così tutti, tout le monde, come dicono i francesi, partecipavano alla concretizzazione di questa Summa. È noto come molti pellegrini si imbarcassero in peripli esorbitanti, pur di prestare gratuitamente la loro opera, di massima di carpentieri, alla edificazione di Chartres.
Gli stessi luoghi cui la cattedrale veniva predestinata, avevano qualcosa di sacro e di “inebriante”. Appunto a Chartres era stata presa in considerazione una collina sopraelevata del territorio cittadino, onde cui far maggiormente risaltare lo slancio verticale delle doppie torri campanarie, non per caso innalzate in facciata (ma era consuetudine nel nord “normanno” francese). Non solo: sotto la collina scorrevano falde freatiche le cui vaporazioni in superficie dovevano nelle intenzioni, in abbinamento alle luci variopinte penetranti dalle maestose vetrate, accompagnare il viaggio mistico del visitatore, influenzandolo benignamente. Il senso del prodigio aleggiava sulla ingenua Fides popolare e, nonostante il Gotico rappresentasse un avanzamento in termini tecnologici ed umanistici, il soprannaturale vi era ancora in gioco, come una inviolabile metà del corrente assetto valoriale e psicologico.
 

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