Scritto da © Hiyya - Dom, 06/10/2013 - 09:27
Stamane la siepe di caprifoglio piangeva, gli spini del biancospino spuntavano cattivi fra le foglie, le nuvole parevano l'esercito del signore del male.
Cammino lungo il sentiero che porta al vecchio mulino, cerco di capire cosa succede.
Quattro piccoli topolini mi seguono, li guardo incuriosita dalla loro sfacciataggine e sorrido.
Il sentiero finisce bruscamente sulla riva del ruscello, mi guardo intorno, ma non noto nulla di strano. Eppure il caprifoglio piangeva...
E' tutto tranquillo. Addirittura le farfalle in grande numero, due o tre merli sul prato, un vento leggero sugli asfodeli. Dietro i rovi carichi di more ancora verdi, qualcosa si muove e vado a vedere.
Un piccolo di cinghiale gioca sull'erba, ha l'aria graziosissima, ogni cucciolo la ha.
I cinghiali, però hanno mamme pericolose e mi allontano velocemente, prima di fare incontri troppo ravvicinati.
Devo scoprire cosa ha fatto piangere il caprifoglio.
Passo dall'altra parte del ruscello, giro intorno alle rocce e la vedo. Deve essere la mamma del cinghialetto. Stesa fra l'erba, la testa dentro un cespuglio di mirto, rigida, sicuramente avvelenata. Intorno a lei tre cuccioli piangono, spingono col muso sulla sua pancia, cercano latte.
Ora capisco il pianto del caprifoglio, le spine del biancospino che allontanavano le foglie.
Le piante non piangono per la morte, le piante piangono per la cattiveria stupida, per chi fa del male solo per ferire, per chi pensa di essere eterno e distribuisce morte.
Mi siedo sull'erba, osservo i cuccioli. Sono abbastanza adulti, sapranno cavarsela, ma la prima notte senza la mamma sarà dura.
Li sento piangere, mi sento impotente.
Se fossi Dio... se solo io fossi Dio....
Sto per piangere. E' rabbia, dolore, impotenza, ribellione contro il male assurdo e senza motivo.
E' qualcosa che distrugge lo stomaco, il cuore, l'anima.
Mi rendo conto di avere il respiro affannoso, sto lottando contro la rabbia, non riesco a calmarmi.
Ed è allora che arriva il canto. Ogni filo d'erba del prato canta, ogni foglia delle querce suona nel vento, ogni fiore manda nell'aria il suo profumo.
I cinghialetti si immobilizzano, smettono il pianto. Quello che giocava dall'altra parte del ruscello arriva di corsa, ha l'aria felice: forse è il primo nato.
Si avvicina ai fratelli, li raggruppa e li spinge oltre il folto dei cespugli.
Prima di scomparire si volta, osserva la madre, abbassa la testa come se facesse un inchino, poi mi osserva.
Solo qualche secondo, ma il tempo si ferma.
Ha capito. Io ho capito.
Con uno strano verso, somigliante ad un singhiozzo, si volta e scompare in mezzo ai cespugli.
Con un sospiro mi alzo e torno verso casa.
Dirò al caprifoglio e al biancospino quanto sia inutile piangere per l'uomo.
Stamane la siepe di caprifoglio piangeva, gli spini del biancospino spuntavano cattivi fra le foglie, le nuvole parevano l'esercito del signore del male.
Cammino lungo il sentiero che porta al vecchio mulino, cerco di capire cosa succede.
Quattro piccoli topolini mi seguono, li guardo incuriosita dalla loro sfacciataggine e sorrido.
Il sentiero finisce bruscamente sulla riva del ruscello, mi guardo intorno, ma non noto nulla di strano. Eppure il caprifoglio piangeva...
E' tutto tranquillo. Addirittura le farfalle in grande numero, due o tre merli sul prato, un vento leggero sugli asfodeli. Dietro i rovi carichi di more ancora verdi, qualcosa si muove e vado a vedere.
Un piccolo di cinghiale gioca sull'erba, ha l'aria graziosissima, ogni cucciolo la ha.
I cinghiali, però hanno mamme pericolose e mi allontano velocemente, prima di fare incontri troppo ravvicinati.
Devo scoprire cosa ha fatto piangere il caprifoglio.
Passo dall'altra parte del ruscello, giro intorno alle rocce e la vedo. Deve essere la mamma del cinghialetto. Stesa fra l'erba, la testa dentro un cespuglio di mirto, rigida, sicuramente avvelenata. Intorno a lei tre cuccioli piangono, spingono col muso sulla sua pancia, cercano latte.
Ora capisco il pianto del caprifoglio, le spine del biancospino che allontanavano le foglie.
Le piante non piangono per la morte, le piante piangono per la cattiveria stupida, per chi fa del male solo per ferire, per chi pensa di essere eterno e distribuisce morte.
Mi siedo sull'erba, osservo i cuccioli. Sono abbastanza adulti, sapranno cavarsela, ma la prima notte senza la mamma sarà dura.
Li sento piangere, mi sento impotente.
Se fossi Dio... se solo io fossi Dio....
Sto per piangere. E' rabbia, dolore, impotenza, ribellione contro il male assurdo e senza motivo.
E' qualcosa che distrugge lo stomaco, il cuore, l'anima.
Mi rendo conto di avere il respiro affannoso, sto lottando contro la rabbia, non riesco a calmarmi.
Ed è allora che arriva il canto. Ogni filo d'erba del prato canta, ogni foglia delle querce suona nel vento, ogni fiore manda nell'aria il suo profumo.
I cinghialetti si immobilizzano, smettono il pianto. Quello che giocava dall'altra parte del ruscello arriva di corsa, ha l'aria felice: forse è il primo nato.
Si avvicina ai fratelli, li raggruppa e li spinge oltre il folto dei cespugli.
Prima di scomparire si volta, osserva la madre, abbassa la testa come se facesse un inchino, poi mi osserva.
Solo qualche secondo, ma il tempo si ferma.
Ha capito. Io ho capito.
Con uno strano verso, somigliante ad un singhiozzo, si volta e scompare in mezzo ai cespugli.
Con un sospiro mi alzo e torno verso casa.
Dirò al caprifoglio e al biancospino quanto sia inutile piangere per l'uomo.
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