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Parla Ingrid Bergman

Salve, sono Ingrid Bergman, la sposa di Roberto Rossellini. Mi sono risoluta a scrivervi, cari lettori, per ribadire la veridicità di un proverbio: “Tutto il mondo è un Paese.” Invano, cercammo una smentita... perché... se il comportamento di ognuno, nella sfera della società, fosse stato il complemento di diverse belle presenze, fra loro simili, il proverbio ci sarebbe piaciuto.
Ci dispiacque moltissimo, invece, il dover constatare che le grandi diseguaglianze di un società corrotta, stanno sempre al vertice di una dottrina politica, volta sempre a denigrare gli onesti lavoratori, fino allo svilimento.
Io fui di origini Svevo-Normanne, mentre il mio diletto sposo, fu austriaco per parte materna, italiano per parte paterna, diretto discendente di Beniamino Gigli e di Guglielmo Marconi. Ma queste cose agli alti funzionari di Cinecittà, non interessavano, tanto che gli intimarono di firmarsi con un solo cognome.
Risalgo al mio piccolo nucleo familiare per dirvi quanto amammo la Famiglia e la quiete domestica. Ebbi dal mio adorato sposo, soltanto una figlia, Isabella, ma la critica le appioppò altri due fratelli che, poi, non le somigliavano per niente.
Robert fu l'autore e i regista dello sceneggiato “Roma, città aperta”. L'opera ebbe un immediato successo  perché gli “esperti”, non ebbero il tempo di rovinarla.
Successivamente venne impoverita e menomata della parte più bella. Robert, ne soffrì moltissimo.
“Sono adirato,” scriveva a Indro Montanelli, “perché le parti più belle della mia opera, sono state tagliate e quasi messe all'indice."
“Ma non provate più,” scriveva agli alti funzionari, “non sia più che vi permettete di manipolare una mia opera; ve lo dico col cuore di un padre."
Da quel momento, finsero di lasciarlo in pace, ma ogni sua opera, non veniva degnata di considerazione, mentre tutti gli onori andavano a Fellini, per il fatto che si era saputo adattare in una società irrequieta e bizzarra.
Vi chiederete quale fosse il lavoro di Roberto Rossellini, all'interno di Cinecittà; per parecchio tempo, Egli si sobbarcò al compito di correttore di bozze. Poi, gli “esperti”, non essendo contenti nemmeno delle sue correzioni orto-sintattiche, lo congedavano con un piccolo fisso mensile, in cambio del silenzio stampa. Ma fu, a questo punto che Robert, non potendone più, andò su tutte le furie. “Ho chinato fin'ora la testa a tutte le vostre bizzarrie... Ma io non sono un menomato mentale... Pregate che non avvenga che con la mia famiglia, lasci l'Italia... Ma se ciò dovesse avvenire... Sarete svergognati, in qualunque parte del globo, dovessimo trovarci. Il paese, ritenuto il più miserevole, non ugualia l'Italia per meschinità."
Dopo aver ponderato, ogni possibile soluzione, ci risolvemmo, a trasferirci in Bulgaria.
La casa che comperammo era modesta, ma a me piacque subito per quell'enorme ciliegio che era all'ingresso. Quando arrivammo, eravamo molto stanchi; per un anno non uscimmo di casa, anche perché ci deluse, la fredda accoglienza del vicinato. Avevamo sentito parole ben scandite rivolte a Noi: “Vogliono condurre una vita da pascià, sulle spalle di noi che siamo poveri diavoli.” Ci amareggiammo profondamente, a tal punto, che Robert, non voleva uscire, nemmeno per far due passi. Egli sapeva però, che io avevo un hobby, uscire di tanto, in tanto a comprare qualche piccolo oggetto per la casa, un quadretto, una statuina, ecc. Nel paese non c'era nulla... Perciò Egli stesso mi dava il permesso di andare a curiosare in cittadine più vitali. “Spero presto” mi diceva, “di poterti accompagnare. Tu sai che è necessario prendere l'aereo ed io per il momento, non mi sento. Non so se sia paura... ma se così fosse, non ti lascerei andare... Forse è una forte depressione.” Fu così che un giorno, mi trovai in una cittadina dove si erano inaugurati i mercati generali. Davo un'occhiata un po' a tutto, ma non c’era nulla che mi attraesse veramente. Infine, i miei occhi si posarono su di un angioletto, sopra una scatola di legno... Quella scatola avrebbe potuto essere una bara, ma non essendo superstiziosa, lo prendevo  insieme ad una anforetta in stile gotico che avevo visto subito dopo. Non sono, mi dissi oggetti singolari, ma è sempre meglio che ritornare a casa con le mani vuote. Mentre la commessa, me li incartava, un annuncio, mi fece trasalire: “La signora Rossellini, si porti in direzione, per comunicazioni urgenti."
“Mio Dio!” Che cosa era successo a mio marito?
Mi sentii gelare il sangue, mentre una impiegata, mi diceva che egli, aveva avuto un infarto. Non mi sfuggì che nessuno degli astanti, mi aveva fatto gli auguri. Presi il primo aereo e fui in ospedale. Grazie a Dio, trovai mio  marito ripreso. Gli davo un bacio e rimanemmo mano nella mano, come due fidanzatini. “Cara, io ora sto meglio... ma immagino... come ti sarai sentita.”
“Cerca di riposare.” Ero felice che Robert, aveva superato l'infarto e tenni per me il rincrescimento, in merito a ciò che in corsia avevo sentito: “Ella se ne va a comprare cianfrusaglie, e lascia in casa il marito moribondo.” Dopo una breve pausa dalle malattie, fui io, invece, ad accusare un malessere e a trovarmi sola in casa. Il mio Robert, sebbene, non amasse uscire, veniva invitato ad un party, ma non certamente con il fine di una sincera amicizia. “Che cosa devo fare?” Mi diceva Robert, “quel tale insiste perché lo segua ad un party; dice che se non vado perdo l'opportunità di proficui incontri... Bene... per una volta, vedremo di che cosa si tratta...”
Non gli consigliavo di non andare, perché anch'io, non avrei saputo, come comportarmi...
Rimanevo in casa triste... pensierosa... E forse avevo capito: quando si desidera veramente l'amicizia di una persona, lavoro o non lavoro, innanzi tutto, si dice: “Porti la sua signora.”
Talvolta quando ci si trovava distanti l’una dall’altro, noi si comunicava con il pensiero, ma quella volta, Robert terrorizzato soprattutto dal torneo di caccia che si era tenuto, non riusciva a sentirmi. Quando rientrò in sé ero gravissima. Non facevo in tempo ad avvisare Isabella. Robert ritornava e vedendo il ciliegio senza una fronda che si muovesse... ebbe come un cattivo presagio. Entrò, alzò le serrande, mi vide supina. Mi chiamò e poiché non gli rispondevo, pianse come un bambino. Sentii il suo pianto infinito, mentre volevo dirgli: “Stai tranquillo presto ci rivedremo.” Con la forza della disperazione, componeva il numero dell’ambulanza.
L’ambulanza veniva presto, ma, veniva constatato il decesso.
Cari Lettori, se vi ho raccontato questa storia, è stato per dirvi che fummo sempre soli, così come tante anime umane. Ci amavamo tanto, e, avremmo potuto essere una coppia felice, se a causa degli scompensi causati dalla scarsità di conoscenze, non si fossero determinate, nel nostro iter, situazioni di estremo sconforto.
Non tutte le coppie definite felici, riescono a superare il peso della solitudine.
Lettori, voglio invitarvi ad essere ossequienti all’amicizia tra genti, e non tra persone. Nulla si ha dalla vita, se mancano rapporti sereni e cordiali con il nostro prossimo. Noi errammo sempre in cerca di calore umano; incontrammo ostilità e freddezza.

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