Parla Don G.Bosco | Prosa e racconti | Giuseppina Iannello | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Parla Don G.Bosco

Quando lettore mio,
mi incontrerai al cancello,
ricordati: fu quello
che in Croce ci inchiodò
perché si disse: “È bello...
romantico... svagato...
perché ci chiede aiuto?!
Non venga a disturbar.”
Mandarono le guardie,
per farmi fucilare...
Ma un bimbo, il più piccino,
dal gruppo si staccò:
“Padre, non mi lasciate...
Ho bisogno di Voi,
come del pane.”
Non ebbi il tempo, di potergli
dire: “Stai attento...”
Egli mi venne in braccio.
Moriva sul mio petto.
Io, poco dopo.
Agonizzante, dissi agli
assassini: “Avete ucciso un
bimbo; maledetti!
Non avrete più pace.”
Paolo moriva, dunque,
sul mio petto. Ma il mio dolore
fu più lancinante, quando abbassò
il capino, sfiorando la mia pelle
e sussurrando:
“Padre, meglio morire, che non vederVi.”

Paolo sarà mio figlio.

* *
Notizie essenziali
Il mio vero nome fu Ferdinando Giovanni Fernantes; nacqui a Lisbona.
Bosco, fu il nome, con il quale mi imboscarono per non rivelare la mia identità, onde non si sapesse del duplice assassinio.
Fu per i miei devoti, ignari dell'accaduto, che accettavo il nome “Bosco”, consacrandolo al Signore.
Il mio volto e i tratti della mia personalità, rimasero inalterati. Fui un sacerdote, costantemente impegnato nell'applicazione dei Sacri precetti evangelici, ma è doveroso dire che la mia esistenza terrena si svolse nel diciassettesimo secolo e non nel diciannovesimo, come comunemente, si pensa.

Altra nota
Fui bersagliato dalla Curia perché contestavo la validità dei dogmi... Ma io credevo nelle Sacre Scritture e non alle parabole, scritte da autori apocrifi.
Mi ispirai alla religione anglicana, vedendo nel Cristianesimo una filosofia e non una dottrina, da inculcare.
Non ammettevo il celibato e sostenevo il matrimonio, anche per gli ecclesiastici, ritenendo la Famiglia, complemento della vita affettiva.

Altra nota
Non domandammo l'elemosina, ma mendicammo l'Amore. Domandavo un alloggio per i miei ragazzi, abbandonati perché, la Curia, continuava ad affidarmeli, pur avendomi screditato. Non mi fu offerto da questa, alcun aiuto. Io non avevo un tetto, che non fosse l'umile sacrestia della mia Parrocchia, presso Torino.
Cari lettori, che mi siete devoti, Vi dico Arrivederci e vi abbraccio, tutti.

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