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Scritto da © Giuseppina Iannello - Mer, 14/12/2016 - 15:52
Pianse
la giovinetta
seduta in ver l'aiuola
e pettinò, l'ultima volta al sole,
i bei capelli dai riflessi
d'oro.
Come la Sirenetta in su
lo scoglio,
considerando l'imminente volo,
si chiese:
«Sarà lungo il mio soggiorno?
Se ne uscissi sconvolta?»
Pianse...
Poi fece il giro delle stanze;
giungeva nel giardino
tra rose e fronde;
c'erano pure molti
fiori bianchi...
bianchi ed azzurri,
rosei trasparenti.
Ma pallido il visino delle fate,
rivelava un disagio.
Ed Esperia, regina,
gemeva in un cantuccio.
La bimba se ne avvide...
Solerte accorse:
“Te veggo scolorire,
dolce fata
che rendevi felice
la mia infanzia...
Che cosa mi nascondi?
Dunque, dovrò partire?”
E la fata annuì:
“Ma non temere,
non pensarmi perduta
dai un bacio invece
agli Angeli custodi,
la mamma e il babbo,
sempre insieme a voi.
Saluta, quindi le nostre
amate sponde.”
Muta, raggiunse il mare,
la bambina
e, inginocchiata sulle amate sponde,
“Mare” gli disse
“andrò molto lontano...
Io che gioii di te,
delle tue brezze,
d'ogni ramo gentil
sulla riviera,
senza di te,
mi sento desolata.
Ma, porterò nel cuor
le tue fragranze,
le brezze, già racchiuse
nel libro di poesie;
le dolci essenze,
la malinconia
di non saperti
lungi dal mio sito.
Mare, perdono.”
E dicendo, così, cadde
la mano, inerte e bianca,
tra frammenti d'oro.
Ma, prima del congedo,
la bambina, riprese il suo ventaglio
foglie e fiori:
“Mare ti prego, non volermene più
per quella volta...”
“Quale? Solennemente,”
chiese il mare.
“Quella... Quando fui stanca
d'aspettare
la lunga pesca
del mio genitore.
O mare, mare
non dimenticare
che mi sei caro, che ti voglio bene.”
Pianse...
Mentre una lacrima furtiva
cadde abbondante
sul ventaglio a fiori.
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