Ero in soggiorno, al vecchio tavolino, e facevo un ripasso generale quando la mamma, mi chiamò: “Vai alla bottega e compra per favore due pesciolini di pane ben dorato ed al ritorno, fermati anche al bar: è finito lo zucchero, stamane. Ti do in tutto 150 lire.” Lasciavo il libro schiuso prendevo i soldi e andavo. Comprati i pesciolini alla bottega, feci il mio ingresso al bar: era sala, come sempre, piena: gli impiegati prendevano il caffè; il cameriere avrebbe dovuto chiedere prima a me: “Ti serve qualche cosa?...” Lasciava invece che gli altri, prendessero il mio posto per pagare. Stringevo i denti, sperando di trovare una spiegazione, a quel comportamento. Presagivo come sarebbe andata: avrei fatto quel giorno una sfuriata... Ma c'era una vocina che diceva: “Aspetta ancora.” Dopo aver aspettato due minuti, che per me, erano mezz'ora, brandendo il mio coraggio, sferrai un pugno sul banco e dissi: “Insomma!... Io voglio il zucchero!...” Finita la mia frase, il proprietario, i camerieri, gli astanti, si misero a ridere... Ed io mi accorsi subito, d'aver fatto una gaffe... Rivolta loro, dissi: “Mi dispiace ma l'avete voluto che sbagliassi...
Ecco il solo motivo per il quale, non intendo scusarvi.”
La bella cavallina
Ero sopita, al sole dell'estate, sul divano, in soggiorno, quando arrivò una visita inattesa. La mamma, intravvedendo una signora, mi disse: “Alzati, sta venendo qualcuno...” La mamma apriva e, all'improvviso io, mi trovai tète a tète con la consorte del signor Petri; era da sola perché suo marito era andato col babbo per vedere, la tomba di famiglia, costruita di recente. Di fronte a lei, confidenzialmente, la mamma accomodava i miei capelli, e li annodava in alto per formare una coda fluente. Clotilde, toccando la coda, sorridendo mi diceva: “Oh! Che bella cavallina!” Non risposi: e lei, candidamente, ripeteva la frase... Quel complimento, non lo mandai giù; da molto tempo non ricevevo elogi e il paragone ad una cavallina, mi suonò strano e perfino offensivo. Rispondendo d'impulso ed anche con foga, dissi: “Cavalla siete voi, e vostra figlia...” Ed il motivo arcano di quel “voi”, mi sfugge ancora. La mia mamma arrossiva e mi diceva: “Chiedi subito scusa!...” Facevo le spallucce e andavo via... se mamma non mi diede due ceffoni, mentre che la signora sorrideva, è stato certo, perché lei capiva che dentro me soffrivo, per non capire niente.
I rimbrotti di nonno Luigi e l'anticonformismo d'Iginia
Mi vide il nonno, uscendo dalla stanza, tutta agghindata... Senza aspettare che mi domandasse come ero conciata, gli rivolsi un saluto e, sorridendo, gli chiesi: “Nonno, ti piace come son vestita? Questo è il mio nuovo louche da principessa.” Mi rispondeva con un'altra domanda: “Perché fai disperare la tua mamma? Che cosa hai in quella testa?” Gli rispondevo che nella mia testa, c'era il mio mondo, fatto su misura. “Iginia, tu sorridi...” mi diceva, “ma io son seriamente preoccupato. La tua mamma non sa... Non ha esperienza... Io ti vedo da adulta, emarginata...” Non replicavo perché capivo che egli era convinto di quello che pensava. Certo mi dispiaceva che fosse preoccupato e, anch'io lo ero... Ma egli non sapeva, certamente, che quello che temeva, era accaduto. E non sapeva che il carnevale era l'unica festa che non capivo.
Da adulta, Iginia ricorderà:
Eri sul punto di lasciar la terra... Avevi voluto che tutti, ad uno, ad uno, la mamma il babbo, mio fratello e me ci accostassimo al tuo capezzale. Quando ti fui dinnanzi, mi dicevi: ”Iginia, fai una promessa al nonno, te ne prego... Togliti dalla testa le stranezze: le principesse, i principi, i re e le regine... e, non aver paura soprattutto, delle galline.” “D'accordo,” farfugliavo... Non era una promessa... Però volevo dire: “Nonno, ti voglio bene. Sarà quel che sarà.”
Alberi, di un luogo immaginario, detto Roma, la bambina cresciuta, ma incompresa, vi sta chiedendo: “Cosa ne pensate, riguardo alle verdure da mondare; c'è una regola per schiudere il baccello? Stamane il nonno, mi ha rimproverata: sei arrivata a nove anni ma non sai tutte le cose, che altre ragazze, apprendono a sei anni. Fai preoccupare il nonno e la tua mamma; dove tieni la testa? Nonno, perché non vedi quanti piselli ho sbucciato? Sì, ma nel modo sbagliato; guarda il rigonfiamento: tu devi cominciare dalla pancia...
Uffa...” Per quanto mi sforzassi di tacere, sentendomi osservata, cominciai uno sproloquio: “Per me, non ci son regole; sono anticonformista... I piselli li sbuccio, come ritengo meglio.” “Non rispondere al nonno!... Che cosa ti succede? Se è perché stai male, noi ti giustifichiamo... Ma se pensi di essere cosciente, ti dico che sei indietro con gli oneri di casa. Se non cambi, quando diventi donna, non troverai marito.”
Mi dissi stanca... E sono quindi uscita. Son quasi donna e l'esser giudicata in ciò che mi compete, mi fa male... Alberi, che cosa ne pensate? Come si apre un baccello? Come si sbuccia un mandarino?...
* da mio libro: "Uno smeraldo tra l'azzurro". *
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