Scritto da © Giuseppina Iannello - Dom, 30/07/2017 - 11:03
Era il maggio rilucente
di un nostalgico mister.
La tua casa era in collina,
nel tripudio dei suoi fior.
Ti ho veduta, Contessina,
mesta all'ombra di un cipresso;
mi vedeste; ci vedemmo.
Ti porgevo un biglietin.
Ringraziando... mi guardasti
con quegli occhi azzurro cielo;
non facevi più domande,
ma capivi il mio pensier.
Mi dispiacque... ci dispiacque
per l'insulso mio pensier:
“Mi chiamaste? Son venuto.
Sono il nuovo appaltatore.”
“Non andare... c'è una stanza
che sarà la mia prigione;
sono rea di avere un nome
che piaceva al mio padrone.
Io non sono Contessina;
sono figlia di un barbier.
La mia casa era in Maremma,
i miei sogni, insieme a te.
Mi ricordo, Contessina
dei tuoi occhi come il mare
e quell'aria da monella
con il vezzo dell'età.
Io non sono contessina;
sono nata prigioniera;
ma la terra di Maremma
la rivedo tutti i dì.
Penso sempre alla mia mamma,
e al mio mesto genitore;
ebbi pure due sorelle;
dove sono? Non lo so.”
** Eufresia, dalla chioma dorata come il fiore della fresia, aveva acquisito il titolo di Contessina perché, data ingenuamente, in sposa al Conte Biancamano residente in Messina, e al servizio degli Austriaci. Il Conte si era invaghito del nome illustre della giovinetta: Pindemonte. Non sapeva, invece, che, per il papà della giovane, Ubertino, quel nome era solo uno pseudonimo, per poter scrivere liberamente.
--La poesia mi è stata trasmessa dal mio trisavolo Pasquale Iannello--
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