Scritto da © Giuseppina Iannello - Mer, 15/04/2020 - 13:30
All'indomani della crisi, i miei genitori si preoccuparono di portarmi dal dottore, di primo mattino. Trovammo il sostituto del dottor Rotondo, meno attento del primo, ma cordiale.
“Che cos'hai, pupetta?” E io in due parole, gli spiegavo il mio male: “Non posso respirare...”
Il dottore, lesse dal suo prontuario, il nome di alcune capsule e scriveva la sua ricetta. Consegnava la ricetta, ai miei genitori, senza dire niente, riguardo alle medicine, ma, ebbe la solerzia di rassicurarmi e dire: “Stai tranquilla.”
Cominciavo, la mia terapia con i tranquillanti... Sentivo poco alla volta allentarsi quei nodi che impedivano il flusso del sangue nelle arterie della corteccia periferica; le visite di Teobaldo erano ancora frequenti e a lungo protratte, ma cominciavo ad essere più comprensiva verso quel giovane che, evidentemente, in mio padre vedeva un fratello.
Nelle sere d'estate, di quell'anno, l'ultimo dell'infanzia, mi volsi ad un compendio dei miei versi, nell'antico quaderno con i gigli.
Era avvenuta una cosa strana: ero sulla veranda e rievocano la recente crisi di respiro... L'impressione del chiarore a giorno del lampadario, fece affiorare una reminiscenza: mi vidi bambina, in tenera età, con i miei genitori; eravamo raccolti, i una sala, tutti in preghiera per un giovane avvocato. Mi avvicinai all'ingresso della sua camera, in punta di piedi, senza avere la forza di entrare; capivo quel ch'era successo. Dalla camera schiusa, quel che vedevo, era un fascio di candele, che si consumavano in una luce rossa... Come un' amore che arde.
Mi impressionai talmente, da perdere i sensi.
Mi ritrovai sulla via del rifugio, dove incontravo Amalia che piangeva. Mi avvicinai e le dissi: “Amalia, fai coraggio, non puoi pensare ch'egli sia morto...” Rispose: ”Voglia il cielo, che egli mi veda e sappia ch'io lo amo. Gli ho fatto una promessa... Di rimanere nubile e trascorsi i miei giorni, se Dio me lo concede, di aspettarlo ancora sulla terra nelle modeste vesti campagnole, di una borghese di provincia.”
Salivo sul terrazzo, ancora impressionata, per scrutare le stelle... Chiedevo ai miei poeti:
“Ditemi, per favore, se sapete, c'è tra voi, un giovane avvocato? Quale è il suo nome?”
Mi giunse la risposta del poeta: “Sono Guido Gozzano...” E raccoglievo i versi che egli mi porgeva: “Socchiusi gli occhi sto, supino nel trifoglio e guardo il quadrifoglio...” E mi fermavo lì.
Poi, mi rivolsi a Pascoli, chiedendogli perdono d'averlo tralasciato, pur sentendolo molto.
Poeta, mentre ti penso vedo il Professore che conosce il mio cuore... Anch'io il tuo.
Le poesie che conosco, le so grazie a mio padre e qualcuna, grazie ancor al libro di letture, ma so di conoscere le altre... Mi immedesimo in te, nei tuoi pensieri... Dove ci siamo conosciuti?
Sento affiorare i versi dell'ultima poesia, ma non voglio lasciarti, tra i banchi dell'infanzia.
Ho messo sul ventaglio una fragranza che sa di felci e incenso... Ti sento nella luce del tramonto del mare di Mortelle; verrò l'ultima volta, però non mi lasciare...
Mi parve di sentirla, poeta, la tua voce: “Iginia, confida nel mio cuore e nel tuo mare...
Ci incontreremo, all'alba, al porto di Messina.”
* Dal mio libro: "Uno smeraldo tra l'azzurro". *
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Inserito da woodenship il Gio, 16/04/2020 - 01:47. #
Ma che mondo molto particolare questo tuo! Ci vivono poeti estinti e ci rimbombano mali che risuonano moderni, ma con linguaggio che li rende misteri d'altre epoche..
Sì, l'ho letto d'un fiato e mi è piaciuto molto.
Un abbraccio
.......W.......
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Inserito da Giuseppina Iannello il Gio, 16/04/2020 - 11:12. #
Grazie Woodenship, sei unico.
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