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Dalle memorie di un Professore - Una visita a Taormina

Era di lunedì: Carmine aveva programmato una gita a Taormina; per le nove, il calesse era al cancello; il cocchiere, ci accoglieva cordialmente, chiedendoci: “La meta è sempre quella?” “Sicuro”, rispose Carmine, illuminandosi, e dandomi una pacca, mi disse: “La mia scelta è caduta su Taormina, perché tra le nostre cittadine, a mio parere, è quella ideale, sia per il verde, che per le vetrine.” Giungemmo e con meraviglia, rilevavo la singolarità dei vicoletti, somiglianti a quelli di Firenze, perché dove l'uno finiva, un altro cominciava. Il centro urbano mi sembrò un tutt'uno con la natura; ovunque, dai terrazzi, cadevan sempreverdi; le buganvillee e i glicini erano là, di casa... I caseggiati, antichi e nuovi, insieme, avevano in comune la poesia dei freschi borghi, ove il tempo sonnecchia e non si impone.
Riconoscente, per il bel luogo scelto, facevo i complimenti al Professore e gli dicevo: “Carmine, hai ragione; Taormina è proprio bella.”
Sporgevan dai cancelli le roselline antiche, mentre le acacie, d'oro, sporgevano nell'ombra, tra le querce, di giardini vetusti. In sintonia il mio cuore, con quello del mio ospite che mi prendeva a braccio, gli dicevo: “È tutto così bello e familiare, che mi verrebbe voglia di comprare, proprio qui, una casetta.” Carmine, sorridendo, mi disse: “Prendo nota: a volte, ci son le aste demaniali, per quelle case, senza eredi...” E su quel senza egli si soffermava, e mi diceva: “Anche la mia casa, sarà una di quelle.”
Sulla via del ritorno, alla stazione, c'eravamo fermati, alla bacheca, per consultar gli orari, quando vedemmo fermarsi un omnibus: era diretto alle Madonie, ma molta gente, si fermava prima, per prendere l'espresso. Tra i passeggeri scesi, scorgevamo una giovane donna, con al seno la sua piccina, di solo qualche mese. Voleva andar di fretta, ma inciampava. Quella neonata e quella madre mesta, eran balzate subito alla vista; i più vicini eravamo noi che accortamente prestammo soccorso: Carmine prese in braccio la bambina, io sollevavo la sua mamma. Ella, quella giovane donna, dal volto delicato e dagli occhi umidi e tristi, ci ringraziava, ma fuggevolmente... Stavamo ritornando a consultar gli orari, quando Carmine, mise le mani al capo: ”Perbacco!” Disse, era proprio lei... “Permettimi, un momento; voglio sapere che cosa io le ho fatto, per ignorarmi.” Allungava i suoi passi... lo seguivo in disparte. Raggiunta, ora la giovane, la chiamava, senza alterare, il tono della voce: “Letizia... Letizia...” Si voltò, permettendogli di parlare. Udivo il suo rimprovero, dolce, ma accorato: “Letizia, dico io, che cosa ti succede, non riconosci più un vecchio amico dei tuoi genitori? Non sei la figlia di Giuseppe?” Letizia, si scusò, coprendosi il volto. “Sono mortificata... Non dica queste cose, che non la riconosco; ho accelerato i passi perché mi vergognavo, ma non di me...” Carmine, con un cenno, mi invitava, a venire; mi prestava alla giovane, che senza più imbarazzo, raccontava ad entrambi la sua storia. Entrambi guardavamo quel tenero germoglio; io posavo lo sguardo, verso quel fagottino, con infinita tenerezza; se ne accorse, la mamma, che mi disse: “La mia bimba, è nata in primavera, ed è il dono più bello del mio consorte. Eppur la primavera ha rapito il mio amore, che si tolse la vita.”
“Io non sapevo che ti eri sposata.”
”Non lo seppe nessuno... Il mio consorte mi ha lasciata presto, perché non tollerava di subire, l'onta delle persone che venivano in casa. Egli era uno straniero del Nord Est Asiatico, a detta di mio Padre; non poteva competere con noi. Lo conobbi a Palermo; egli era il figlio del cocchiere.”
Ed era, a tutti gli effetti, anche Italiano perché Italiano era il genitore. IL mio Giuliano, sensibile, e romantico, soleva dirmi: ”Se avremo una bambina, la chiameremo Angima, che significa Gioia”. Ho mantenuto la promessa; spero che sia di auspicio per la nostra creatura.
Il Professore le diceva ancora: ”Non sapevo che ti fossi sposata...”
Rispondeva: “Non lo seppe nessuno. Il mio consorte, non sopportava di vedersi guardar dall'alto in basso, dai suoi stessi parenti. Un giorno, disse: non ne posso più persone che venivano in casa: amici e conoscenti dei genitori. Un giorno, esasperato, mi disse: se al tuo risveglio, una mattina, ti accorgerai che non ti sono accanto, non avere paura; pensa che sono in pace e ti sarò vicino, ancor di più.” Rimanemmo turbati.
Letizia, prima del congedo, si rivolgeva a Carmine: “Lei, spero mi comprenda...” Non volevo parlare... Avrei potuto dirle di quel padre che amavo tanto, e che mi diede, invece, il dolore più grande?
Carmine, timidamente, le chiese: “E la tua mamma?”
Rispondeva: “Le madri fanno loro, ogni nostro dolore, ma soccombono sempre. Ed io, mi sento in parte, responsabile, d'aver causato la sua sofferenza. Ora il mio sposo è in pace; vivo per lui, in nome di quell'amore che ci univa. Mi ha lasciato di sé, la nostra bimba, ma non sapeva che ero in attesa; nemmeno io... Se l'avesse saputo, probabilmente, non sarebbe arrivato a un gesto estremo.”
La giornata, si chiuse con un senso d'amaro, dal quale rifuggivo, pensando alla bambina, un piccolo germoglio che si affaccia alla vita.

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